Pillole di SpiritualiTà
Per le ferite d’amore non c’è medicina se non da parte di colui che ha causato la ferita. (San Giovanni della Croce)
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Omelia di p. Luigi Luciano icms, Presidente FCIM - 13 Maggio 2020
Omelia di p. Luigi Luciano icms, Presidente FCIM - 13 Maggio 2020
Mai come oggi il mondo ha bisogno del nostro Rosario
Carissimi fratelli e sorelle,
celebriamo il nostro primo 13 del mese di quest’anno in un modo piuttosto insolito, contenti sì di poterlo festeggiare, ma con una grande pena nel cuore.
Nella desolazione di non potervi partecipare di persona, a causa di questa pandemia, forse possiamo capire un po’ di più l’angoscia e il dolore che dovettero passare nel cuore dei tre piccoli Pastorelli di Fatima quando, nel mese di Agosto del 1917, il sindaco di Vila Nova de Ourem, li rapì e li sequestrò. Furono rinchiusi in carcere per due giorni, insieme agli altri carcerati, per impedire loro di recarsi alla Cova d’Iria per l’apparizione del 13, dove circa ventimila persone attendevano in preghiera.
Anche in quel frangente, Dio non impedì al sindaco di compiere quel male, né risparmiò ai piccoli Lucia, Francesco e Giacinta la sofferenza che scaturì da quel sequestro, dalle minacce di morte, dalla prigionia e dalla paura di non rivedere mai più i loro genitori.
Ma poi li liberò, e la Madonna, mantenendo la promessa, apparve loro comunque, sei giorni dopo.
D’altra parte, la Vergine Maria, fin dalla Sua prima apparizione – quella che ricordiamo oggi –, aveva loro chiesto se avessero voluto offrirsi a Dio sopportando le sofferenze, in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori.
E loro accettarono, con grande slancio e generosità.
Insomma, come spesso capita anche nella nostra vita, Dio non sempre o, almeno, non subito ferma il male ma, certamente, non si fa fermare dal male e sa ricavarne sempre un bene più grande.
Basta vedere, per esempio, tutto quello che poi è diventato Fatima nella storia, quanto bene si è diffuso nel mondo, quante realtà sono nate –compresa la nostra- sulla scia di questa spiritualità, quante anime hanno ascoltato questo Appello!
Senza voler, in alcun modo, minimizzare il dolore e le difficoltà di ogni genere – anche economiche – che tanti hanno vissuto e stanno vivendo in questo periodo, il problema oggi non è l’invisibile e temutissimo virus contemporaneo. Nel corso della storia, l’umanità è stata colpita da sciagure molto più grandi e devastanti – le guerre, il colera, la peste, la febbre spagnola, disastri naturali di ogni genere – che hanno fatto molte più vittime e generato molta più sofferenza.
Il problema reale, esistenziale, oggi è riconoscere che cosa sia davvero prioritario nella nostra vita: per che cosa viviamo, per che cosa siamo disposti a morire e, infine, che cosa significa per noi morire.
Il fatto è che per molti oggi la fede è un qualcosa posto ai margini, tra gli accessori, a cui dedicarsi se avanza del tempo quando si sono fatte le cose più importanti; qualcosa che al limite ci può fa star bene, ma che non c’entra con la vita reale, quotidiana.
E invece – come diceva un autore spirituale – la nostra fede è come il sole che sorge, non solo perché possiamo vederlo, ma perché da esso vediamo tutto il resto (CS Lewis), ci svela il senso e il fine della nostra esistenza.
D’altra parte, se anche ci salveremo da questo virus, prima o poi, di qualcosa dovremo pur sempre morire. Inoltre, ci sono molte persone che pensano di vivere e invece sono già morte dentro (“Ti si crede vivo e invece sei morto” Ap 3,1), perché si sono recise dalla Vite, Gesù, e non hanno più la linfa vitale, sono diventati rami secchi, che non danno più frutti; e, se li danno, sono frutti di morte.
La rappresentazione che, secondo me, meglio esprime la condizione dell’uomo senza Dio è quella degli zombi: un corpo, creato a immagine e somiglianza di Dio, deturpato, mostruosamente imbruttito, senz’anima, irrazionale, ridotto a puro istinto; il suo prossimo diventa soltanto una preda per poter sopravvivere.
«Senza di me non potete fare nulla», in realtà senza Dio possiamo continuare a fare tante cose, ma nulla di buono, nulla di valido.
Quanti frutti di morte ha prodotto e continua a produrre l’uomo che ha voluto distaccarsi da Dio, emanciparsi, diventare autonomo, autosufficiente.
E allora, come diceva Don Bosco, bisogna camminare con i piedi sulla terra e abitare con il cuore in Cielo, rimanere innestati alla Vite, e per farlo bisogna seguire le indicazioni della Vergine Maria, pregare il S. Rosario.
In una lettera del 16 giugno 1988, Sr. Lucia diceva che il Rosario prepara la venuta di Maria, ottiene misericordia dal Cuore di Dio e del Figlio Suo. Quando lo recitiamo, con noi pregano Maria, gli Angeli, i Santi e le anime del Purgatorio.
Esortava a recitarlo con fede, meditandone i misteri, a non biascicare le Ave Maria e a non relegarlo a tarda notte, quando siamo oppressi dalla fatica del giorno. Perché a Dio si offrono le primizie, non ciò che avanza…
Diceva che per il nostro Angelo Custode è il momento più bello della nostra vita.
Mai come oggi, diceva, il mondo ha bisogno del nostro Rosario: perché sulla terra ci sono coscienze prive della luce della fede, peccatori da convertire, atei da strappare a Satana, infelici da soccorrere, giovani disoccupati, famiglie nel bivio morale, anime da strappare all’Inferno.
E conclude dicendo che, tante volte, è stata la recita di un solo Rosario a placare lo sdegno della Divina Giustizia, ottenendo sul mondo la misericordia divina e a salvare tante anime.
Solo così affretteremo l’ora del trionfo del Cuore Immacolato di Maria sul mondo.
Se vivremo cosi, anche se il Signore opererà qualche potatura, non sarò mai per reciderci perché siamo morti; perciò, invece di fissare lo sguardo sulla ferita, pensiamo che se il Signore ci pota è solo perché portiamo più frutto.
Condividete con MITEZZA la SPERANZA che sta nei vostri cuori
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È VERAMENTE L'AMORE CHE FA GIRARE IL MONDO!
Vieni a Fatima con la FCIM!
"SON VENUTA A CHIEDERVI DI VENIRE QUI IL GIORNO 13, A QUESTA STESSA ORA"
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Per le ferite d’amore non c’è medicina se non da parte di colui che ha causato la ferita. (San Giovanni della Croce)