Pillole di SpiritualiTà
Sono la Madonna del Rosario; che continuino sempre a dire il rosario tutti i giorni. (La Vergine Maria il 13 Ottobre 1917 a Fatima)
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Imparare a rivolgere lo sguardo all’altro e in Alto
Paolo e Daniela Gilioli
Siamo stati invitati a condividere con voi l’esperienza bella che abbiamo vissuto nella nostra Parrocchia, nella quale abbiamo fatto nascere e crescere il dono del nostro amore. Dono: sì, perché di dono si tratta e di questo ce ne rendiamo sempre più conto.
Il Signore ci ha concesso tante grazie, prima fra tutte quella di farci crescere in una Parrocchia guidata da un santo Sacerdote: don Pietro Margini. Don Pietro ha svolto tutto il suo ministero sacerdotale occupandosi soprattutto dei giovani e delle famiglie, perché, diceva, è formando giovani forti e famiglie sante che si può vivere il Regno di Dio già su questa terra.
Fin da piccoli ci ha aiutato a capire qual era la volontà di Dio su di noi, che cosa il Signore si aspettasse da ognuno di noi, quale era la vocazione alla quale eravamo chiamati. Una volta capita, ecco che tutto era focalizzato lì, al raggiungimento della meta che il Signore aveva pensato per noi.
Don Pietro chiedeva tanto, puntava molto in alto; quando, a volte, gli veniva fatto presente, lui rispondeva: “se a un ragazzo chiedi 50, lui nel migliore dei casi ti darà 30, ma se chiedi 90 ti darà 60 o 70”. Chiedeva tanto, ma era il primo a dare tanto, ha dato tutto, fino alla fine e per questo era facile stargli vicino, con lui si respirava aria di Paradiso e, quindi, non ti opponevi a quello che ti veniva chiesto, perché lo vedevi in lui pienamente realizzato. Ma, anzi, ti impegnavi per dare il massimo, perché ti faceva amare quello che ti chiedeva, anche se ti costava sacrificio. […]
Il nostro cammino insieme è iniziato il 13 luglio 1980: avevamo rispettivamente 15 e 18 anni. Pur essendo nella stessa Parrocchia, appartenendo però a gruppi diversi, non ci conoscevamo più di tanto ed è stato così che abbiamo deciso di iniziare a frequentarci – sentendoci attratti l’uno all’altra – per approfondire la nostra conoscenza.
Col tempo, trovandoci bene fra di noi e volendo valorizzare la nostra amicizia, abbiamo iniziato, su consiglio di don Pietro, ad affidare questa amicizia al Signore. E, per fare questo, abbiamo scelto la strada più breve e più sicura: Maria.
Abbiamo iniziato a pregare insieme con la recita delle 3 Ave Maria della purezza. La Madonna deve aver gradito le nostre intenzioni, perché ha subito fatto nascere in noi un senso grande di responsabilità, rendendoci sempre più conto di appartenere al Signore, di essere Sue creature; suscitando in noi grande rispetto e dignità del nostro corpo e del corpo dell’altro, facendoci sentire come il dono della purezza fosse il dono più bello e prezioso che potevamo scambiarci reciprocamente.
Siamo poi avanzati, nella preghiera, iniziando a recitare insieme il Santo Rosario e, poi, partecipando alla S. Messa insieme. All’inizio solo per le grandi Feste, poi tutte le domeniche e successivamente tutte le volte che ci era possibile.
Ogni conquista era per noi una tappa, un momento di festa e di crescita nel nostro “cammino insieme”.
Abbiamo poi iniziato a fare Direzione spirituale, anche di coppia. Essendo don Pietro lo stesso Padre spirituale per entrambi, è stato facile scegliere lui, per affidargli anche la nostra coppia. Singolarmente ci rivolgevamo a don Pietro parlando delle nostre difficoltà individuali, delle nostre tentazioni, debolezze, aspirazioni; confidavamo che cosa il Signore suscitava in noi e cercavamo di capire come realizzarlo; come coppia, chiedevamo consigli su come poter realizzare la volontà del Signore nella nostra vita, su come superare le difficoltà che incontravamo e le tentazioni che si presentavano, i limiti che scoprivamo di avere. Era lì, davanti al Sacerdote, che il nostro cuore si apriva ed era bello crescere insieme nella ricerca e nell’attuazione di quello che il Signore ci chiamava a vivere.
Accanto alla crescita spirituale, cresceva anche la nostra confidenza; ma i gesti, che manifestavano la nostra affettività, non sono mai stati dettati dall’impulso del momento. Don Pietro ci ha insegnato a gustare questi momenti di crescita, desiderandoli e facendoli nostri, tanto da arrivare a fare, per esempio, “la tappa della mano”, proprio per non banalizzare nessun gesto, nemmeno quello più naturale di prendersi per mano; sentendolo come un dono che il Signore ci permetteva di rivolgere all’altro.
Così, pure la partecipazione insieme alla Santa Messa non era solo vicinanza fisica, ma ci
coinvolgeva interiormente, cercando di fare nostra la Messa a cui partecipavamo, preparandola, ponendo intenzioni comuni di preghiera e invocazioni comuni. Era, soprattutto, presentarsi insieme davanti al Signore, essere presenti insieme ai piedi della Croce, gustare insieme il Suo infinito amore per noi.
In questo modo, anche il nostro stare assieme acquistava un valore grande; i momenti di incontro, le nostre conversazioni, non erano solo chiacchiere futili, ma diventavano incontri preziosi, di arricchimento e scambio reciproco. Erano occasione di godere dei talenti che il Signore aveva dato all’altro, assaporando il gusto e la preziosità dei differenti punti di vista, cercando di fonderli, per avere una visione comune delle cose. Al sabato sera, per esempio, leggevamo insieme la Messa della domenica, riflettevamo insieme sulle letture, cercavamo di cogliere che cosa il Signore voleva farci capire, che cosa fosse rivolto a noi in quel momento e ricavavamo intenzioni di preghiera e richieste nostre, da rivolgere al Signore.
Non sono certo mancati i momenti di incomprensione, di difficoltà, per incompatibilità di carattere, avendo entrambi un temperamento forte; di pretesa anche nei confronti dell’altro e, a volte, di sana… “gelosia”, perché il tempo che avevamo per incontrarci e stare insieme era poco ed era da dividere con gli amici, il servizio in parrocchia, le attività sportive, le ragazze da seguire… tutte cose molto importanti, che ci aiutavano a crescere e a essere quelli che eravamo, ma era difficile a volte avere il giusto equilibrio e dare le giuste priorità.
Per superare tutto questo, sono stati davvero utili e preziosi i consigli e i suggerimenti del nostro Padre spirituale, il quale sempre ci invitava a cercare il “miglior bene”, e a non distogliere lo sguardo dalla meta che ci eravamo proposti, spronandoci e aiutandoci a superare le varie difficoltà.
Con il tempo, il Signore ha fatto nascere in noi un desiderio grande di formare una famiglia secondo la Sua volontà: ecco che così abbiamo chiesto a don Pietro di prepararci al fidanzamento, scegliendo la data in cui ci saremmo fidanzati: 6 gennaio 1986, festa dell’Epifania del Signore. Abbiamo scelto questa data, perché festa di dono e manifestazione: riconoscere, cioè, Gesù come Dio. Sull’esempio dei Magi, anche noi con il fidanzamento volevamo offrire a Cristo nostro Re l’oro del nostro amore, affinché in Lui fosse sempre più perfetto, arricchito e santificato dalla partecipazione alla Sua vita attraverso l’Eucarestia, che è fondersi ed unirsi totalmente a Lui; l’incenso della nostra preghiera; la mirra delle nostre lotte e sacrifici.
Le scelte, che vi abbiamo detto finora, le varie tappe che abbiamo fatto e che ci hanno portato al fidanzamento, non le abbiamo affrontate solo noi, era un cammino che quasi tutte le coppie della Parrocchia facevano e così avevano fatto quelli prima di noi. Capite allora che – pur essendo bello tutto questo, perché potevamo condividere e confrontarci sulle varie difficoltà che incontravamo anche con i nostri amici, che facevano lo stesso percorso: ci si aiutava e spronava a vicenda – c’era però il rischio di farlo solo perché lo facevano tutti, per non essere diversi o discriminati, senza fare nostre le scelte, senza capire e amare fino in fondo l’importanza di tutti questi passaggi. C’era il rischio, cioè, di subire le scelte di altri. Ecco che, quindi, diventava fondamentale la Direzione spirituale, che ci aiutava ad interiorizzare tutto questo, a scegliere e amare la strada che il Signore ci presentava.
Con il fidanzamento “si fa sul serio”, ci si compromette, si dichiara il proprio amore davanti a tutti e non solo fra i due, perché il fidanzamento era vissuto come una festa della Parrocchia e non solo della coppia: tutta la comunità era invitata a pregare per le intenzioni dei fidanzati, che ponevano il proprio amore nelle mani del Signore.
Preparando questa testimonianza, non vi nascondiamo che è venuto spontaneo chiederci: ma, oggi, ha ancora senso parlare del fidanzamento? Se non viene preso sul serio il matrimonio, che è un Sacramento, che senso può avere il fidanzamento, che è una promessa?
Per noi, il tempo del fidanzamento è stato il tempo più prezioso del nostro stare insieme. Un tempo di grandi grazie. Il Signore ci aveva pensato insieme, aveva dei progetti su di noi e solo insieme avremmo realizzato la nostra vocazione
Avevamo ben presente l’obiettivo al quale il Signore ci chiamava: il Sacramento del Matrimonio. “Sacramento”: che cosa vuole dire? Che è l’amore di Cristo che interviene per unire l’amore dei due sposi.
“Amatevi come lo vi ho amato”. Sentire le parole del Signore, rivolte come a ciascuno di noi: “amalo, come l’ho amato Io”. È questo che il Signore ci chiede, nel Matrimonio, e il Signore ha amato fino alla fine! Ma è in virtù del Suo immenso amore per noi che ci rende capaci di amarci per sempre, fino alla fine: solo se Lui interviene in noi, se gli lasciamo lo spazio, se gli diamo la possibilità di intervenire.
Tutto questo non si improvvisa: non è che il giorno del matrimonio, uno schiocco di dita e… tac, ecco che amo come Cristo mi ha amato!
Per arrivare a questo occorre prepararsi: è il cammino di una vita!
Pensiamo ad un atleta che vuole vincere le Olimpiadi. Non dice: vado, corro e vinco. No, si prepara alla gara per molto tempo, fa rinunce, sacrifici, segue diete ferree, tante ore di costante allenamento, di cadute e continuo rialzarsi, ma prosegue con tenacia, perché ha ben chiara la meta e non vuole rinunciare.
Tanto più per due sposi: altro che vincere le Olimpiadi, sono chiamati a vincere la Vita Eterna!
Amare come ama Cristo vuol dire possedere l'amore di Cristo, vuole dire togliere dal nostro cuore quello che ci allontana da Cristo, per fare spazio a Lui, morire al nostro io per fare spazio a Lui, per fare entrare il Suo amore; così, non è più l’amore umano che dono all’altro, ma è il Suo amore che dono e questo non si improvvisa. Certo, nel matrimonio interviene la grazia sacramentale, ma bisogna essere già preparati ad accogliere questa Presenza, ed è a questo che ci prepara il fidanzamento.
Nell’allenamento dell’atleta, le rinunce, i sacrifici, le diete, la costanza, si possono paragonare – nel fidanzamento – alla preghiera, al fare dei discorsi seri, impegnandosi al dialogo, alla responsabilità, al fidarsi l’uno dell’altro; a mortificarsi, svuotandosi di se stessi, per fare spazio all’altro, accogliendo l’altro con i suoi difetti, con i suoi limiti. Imparare ad amare come Lui vuole che amiamo, rispettando l’altro! Imparare, poi, a porre sempre più al centro della coppia Gesù, per essere capaci di accoglierlo nel Sacramento del Matrimonio, in modo che non è più il mio amore che do all’altro, ma l’amore stesso di Cristo.
Non è facile: c’è da passare dall’io al noi e poi dal noi all’essere “Tuoi”.
Il tempo del fidanzamento è anche un tempo in cui – attraverso i Sacramenti, la partecipazione all’Eucarestia e la preghiera insieme – si cresce nella fede e nell’ascolto di quello che il Signore suggerisce, per essere uno per l’altro dono di grazia.
Tutto questo il mondo non lo accetta. Non può restare indifferente davanti a due ragazzi che fanno sul serio, che si compromettono con un per sempre, con il mettere Gesù al centro della loro vita. Ecco che, quindi, di fronte a una certezza, a una felicità, a una solidità, si contrappone una debolezza, un’incertezza, un “proviamo, non sappiamo” … un “... ma se poi?” E così si presenta, come via più facile, la convivenza.
Conosco ragazzi che andavano in Chiesa, ma che hanno scelto di convivere. Ho chiesto il perché di questa scelta, in contrapposizione con quello in cui credono; la risposta è stata: ma, sai, davanti a tanti matrimoni in crisi, non ci piaceva rovinare anche il nostro; e, quindi, prima di sposarci, volevamo essere sicuri che ci saremmo riusciti. Volevamo fare una prova. Tanti matrimoni vanno in crisi, perché non si è abituati alla quotidianità, alla “routine” giornaliera.
Un tempo, ci si vedeva tre, quattro volte a settimana: se litigavi o discutevi, ognuno a casa sua! Poi, quando ti rivedevi, era già passato tutto… Quando sei sposato, invece, sei sempre lì: non scappi, devi per forza affrontare posizioni diverse. Non è detto che riesci ad avere sempre ragione: a volte devi anche cedere, magari controvoglia, per accontentare l’altro; e, quindi, questo può portare a discutere ulteriormente, rovinando l’armonia che ci deve essere tra i due sposi. Non siamo quindi sicuri di riuscire a superare tutto questo…
Poi, c’è anche l’aspetto dell’intimità. Come faccio a sapere – si dice oggi – se mi trovo bene, se mi sento appagato nella sessualità, se prima non l’ho sperimentato? Non è detto che ci si compensi a vicenda: magari uno dei due può anche essere soddisfatto; ma, se la soddisfazione non è reciproca, sei portato a cercare al di fuori del matrimonio e questo ha già decretato la parola “fine”. Vedi – si dice – no, no, meglio essere sicuri e provare prima, perché il matrimonio è una cosa seria e non va presa “alla leggera”!
Sembra quasi che scelgano la convivenza per un motivo “giusto”, per non rovinare un Sacramento e in questo modo si sentono giustificati.
Inoltre, parlano di provare, di non essere capaci di accettare, di riuscire a sopportare, paura di non rimanere sulle proprie decisioni… non viene nemmeno preso in considerazione che forse l’altro potrebbe avere ragione, che forse il suo punto di vista è migliore del mio.
E ancora: “dovrei arrivare a rinunciare a qualcosa per fare piacere all’altro”. Cioè, l’altro non esiste proprio, neanche considerato: penso solo a me stesso e quindi conto solo su me stesso. E nell’intimità? L’unica cosa che conta è il sentirsi appagati, soddisfatti. L’altro non è nulla, quasi meno di un oggetto che, se non piace – o, meglio, non compiace, o non soddisfa – si butta. Come pensare che questo è amore? Con queste premesse, nemmeno la grazia del matrimonio riuscirebbe a tenere insieme questi due.
Vedete la differenza? Uno sguardo rivolto solo su di me (nella convivenza) e uno sguardo rivolto all’altro e in Alto (nel fidanzamento).
Ecco, quindi, tornando alla domanda iniziale: ha ancora senso ai giorni d’oggi parlare di fidanzamento? Proporre il fidanzamento?
La risposta per noi è scontata: sì, ha molto senso! Anzi, proprio per il periodo di grande crisi che stanno attraversando le famiglie sposate, oggi più di ieri ha senso parlare del fidanzamento, dell’importanza di questo tempo.
Il cammino che abbiamo fatto noi è un cammino che possono fare tutti.
Risulta indispensabile:
Tenendo sempre presente l’obiettivo finale: realizzare la volontà del Signore.
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La Rivista ufficiale della
Famiglia del Cuore Immacolato di Maria
Sono la Madonna del Rosario; che continuino sempre a dire il rosario tutti i giorni. (La Vergine Maria il 13 Ottobre 1917 a Fatima)