Pillole di SpiritualiTà
Comprendi per credere, e credi per comprendere. Comprendi la mia parola, affinché tu possa credere; credi alla parola di Dio per poterla comprendere. (Sant'Agostino)
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di Marzia Amato
L’undici agosto ricordiamo Santa Chiara d’Assisi e rivolgiamo un augurio a tutti di essere “luce per la pace”, in particolare a tutte le donne che portano il suo nome.
In una calda notte di luglio, di più di 8 secoli fa, esattamente il 16 luglio 1194, Ortolana Fiumi, durante le doglie del parto, ebbe una visione, sul nome che porterà sua figlia: Chiara, luce che illuminerà la luce stessa e che sarà luce per il mondo, come un chiarore nell’oscurità, come un fulgido sole che spunta dopo una tempesta.
Chiara venne alla luce rischiarando i volti dei suoi familiari per la sua particolare bellezza e soavità, in una famiglia che si poteva definire oggi benestante (appartenente ai “maiores”, per distinguersi dalle classi sociali più povere: i “minores”). La sua condizione sociale permetteva anche di poter aspirare a un matrimonio “combinato”, per tutelare le ricchezze del casato e l’eredità.
La mamma di Chiara era sposata col conte Favarone di Offreduccio degli Scifi, appartenente alla famiglia dei “boni homines” (classe nobile) di Assisi.
Ortolana era attenta a insegnare e a trasmettere alla figlia, sin da piccola, i principi religiosi a cui lei stessa credeva, soprattutto le preghiere a Dio e la sensibilità verso i poveri, che si manifestava in opere concrete di elemosine e di vicinanza alle loro sofferenze.
La figlia imitò presto la madre nella carità, preparando pranzi per gli indigenti, che non serviva in prima persona solo per timidezza.
Chiara aveva appena dodici anni, quando Francesco d'Assisi compì il gesto di spogliarsi di tutti i vestiti, per restituirli al padre Bernardone. Anche suo cugino Rufino si era legato al Poverello nella via della conversione: probabilmente fu lo stesso Rufino a parlare con Francesco delle opere pie compiute dalla cugina Chiara. Così Francesco parlò a Chiara della sua visione di vita, ispirata al Vangelo, in perfetta letizia, sostenuti da sorella povertà.
«Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
Chiara sentì che con Francesco poteva intendersi alla perfezione sul modo di “convertirsi”, di fare penitenza, di fuggire il mondo.
Secondo Tommaso da Celano, che si occupò di scrivere la Legenda S. Clarae Virginis nel 1255 (due anni dopo la morte di Chiara, quando fu canonizzata dalla Chiesa), Chiara a 18 anni era già promessa in sposa, ormai da tre anni, secondo un “matrimonio combinato”. Tutto sembrava ormai definito per lei: ma, con l’aiuto del Signore, la giovane prese invece la decisione di una conversione radicale, frutto di una scelta di vita che sentiva profondamente in sé. Si affidò alla guida di Francesco, per realizzare l’ideale a cui si sentiva chiamata, e fuggì via da casa, durante la notte della Domenica delle Palme.
“Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo.” (Mt 25,1).
Chiara decise che il Suo Sposo sarebbe stato soltanto il Signore Gesù; raggiunse Francesco e gli altri Frati alla chiesa di Santa Maria della Porziuncola, dove accolse Cristo pienamente, indossando un ruvido saio e pronunciando i Voti di obbedienza, castità e povertà. In umiltà completa, con il gesto del taglio dei suoi lunghi e bellissimi capelli davanti all’altare della Vergine, divenne “sorella povera”. Questo gesto rese Chiara una penitente e non una monaca. I penitenti avevano la garanzia della difesa, da parte della Chiesa, contro l’opposizione dei familiari. Opposizione che non tardò ad arrivare. Dopo il taglio dei capelli, Chiara andrà a San Paolo delle Abbadesse, nel territorio di Bastia Umbra, dalle monache benedettine di clausura.
I familiari di Chiara vennero a cercarla e arrivarono a San Paolo per riprenderla e riportarla a casa. Ricorsero alla violenza, a lusinghe, a promesse e a “trame avvelenate”, pur di dissuaderla dalla vita che stava cercando di intraprendere, ma lei non desistette.
Aggrappatasi al lino dell’altare, fece resistenza ai suoi parenti, che tentarono di trascinarla via. A questo punto scoprì il capo, mostrando il suo stato di penitente, sicché i parenti compresero che ormai era al di fuori della giurisdizione familiare.
Ne derivava la frattura completa con le convenzioni dell’epoca e la assoluta “novità” di Chiara: la Chiesa, infatti, in quel periodo, riteneva che la spiritualità femminile si dovesse esprimere esclusivamente con la clausura, con il distacco completo dal mondo. E, perché le donne potessero dedicarsi esclusivamente alla preghiera e alla penitenza, avevano necessità di una rendita derivante da qualche proprietà: era quindi impossibile che si concepisse un monastero femminile interamente dedito alla povertà.
Assieme alla sorella Agnese e all’amica Pacifica presero poi dimora, come “Povere Dame di San Damiano”, nel piccolo fabbricato annesso alla chiesa di San Damiano, restaurato da Francesco.
Successivamente anche l’altra sorella di Chiara, Beatrice, con la madre Ortolana, raggiunse Chiara, dove era custodito il Crocifisso di San Damiano, l’icona a forma di croce dinanzi a cui Francesco, mentre pregava, ricevette la richiesta del Signore di riparare la sua casa. Saranno poi conquistate e accolte da Chiara altre consorelle, con le quali Chiara rimarrà per più di 40 anni.
“Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6).
Chiara si sentì veramente guardata, amata, stimata e custodita dal Signore, come una madre fa col suo figlio più piccolo, vivendo senza rendite, in piena povertà e condividendo la Vita evangelica in comunità di “sorelle”, senza nulla di proprio, con la fiducia posta pienamente nella Provvidenza del Signore.
«Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». (Lc 18,22).
Presto si rese conto che il precetto della povertà assoluta non era più al sicuro e che doveva fare qualcosa per continuare a mantenerlo, di fronte alle indicazioni della Santa Sede (che imponevano di accettare le rendite feudatarie). Chiara ottenne, nel 1216, da Papa Innocenzo III, il permesso di non essere mai costretta a ricevere possedimenti e lasciti per il sostegno delle suore (Privilegium paupertatis).
Successivamente, nel 1224, Chiara contrasse una malattia da cui non sarebbe mai più guarita, fino alla morte. Due anni dopo Francesco compirà il suo “Transito”, il suo passaggio al cielo. Erede dello spirito francescano, Chiara si preoccupò di diffonderlo, distinguendosi nel culto verso il SS. Sacramento e nell’ideale di povertà assoluta e di adesione al Vangelo, che era l’essenza della sua Vita religiosa. Per questo, non volle neppure chiudere i contatti con l’esterno: con i Frati, che erano la sua famiglia, e con i cittadini di Assisi, bisognosi anch’essi di soccorso spirituale.
Per Chiara era anche importante il lavoro manuale: i prodotti confezionati non dovevano essere usati solo all’interno del monastero, ma dovevano aiutare le comunità. Ci fu anche un forte “confronto” fra il Papa e Chiara, segno del suo eccezionale carisma spirituale: il Pontefice cercava di convincerla a possedere qualche bene, ma lei rifiutò categoricamente questa prospettiva. Rimase sola a lottare per conservare la purezza dell’ideale evangelico tra le “povere donne”, specialmente per quanto riguardava il privilegium paupertatis, in vigore a S. Damiano. La povertà, l’umiltà e la carità erano i fondamenti: Chiara iniziava così a scrivere la “regola per le sorelle povere”. Era la prima volta che una donna scriveva le regole di comportamento di un ordine femminile, basato tutto sulla povertà, segno della sua particolare vocazione, della sua perseveranza e del suo spirito “innovativo”.
“Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20). “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 2,19).
Nel 1240 l’esercito di Federico II di Svevia (l’odierna Germania), deciso a conquistare Assisi, giunse sotto le sue mura. Chiara, anche se in pessime condizioni di salute, chiese di esservi accompagnata, tenendo tra le mani l’ostensorio del SS.mo Sacramento, mostrandolo ai nemici che, accecati dalla sua sfolgorante luce, fuggirono. Nel 1252, il cardinale Rinaldo di Ienne con il documento “Quia vos” approvò la regola di Chiara. I contenuti essenziali per il nuovo Ordine erano: l’osservanza del Vangelo, l’obbedienza al Papa e alla Chiesa, l’obbedienza a San Francesco e ai successori di lui. Tutte le suore, poi, erano tenute a obbedire alla Abbadessa, che esprimeva tali impegni e legami (Olgiati). Mancava ancora l’approvazione del Papa, che arrivò il 9 agosto del 1253, pochi giorni dalla morte di Chiara, con la bolla “Solet annuere” (“È solito approvare”).
L’11 agosto del 1253 Chiara abbracciava sorella morte, ad Assisi. Al suo capezzale c’erano alcuni dei primi compagni di San Francesco: Frate Angelo, Frate Leone e Frate Ginepro.
Le sue ultime parole furono: “Va’ sicura, in pace, anima mia benedetta, perché hai buona scorta nel tuo viaggio! Infatti, Colui che ti ha creata, ti ha resa santa e, sempre guardandoti come una madre il suo figlio piccolino, ti ha amata con tenero amore. E tu, Signore, sii benedetto, perché mi hai creata”
Non è facile spiegare come nel 1253, alla morte di Chiara, in Italia fossero ormai sorti almeno sessantasei monasteri, con un numero di Suore non inferiore a trenta per ciascuna casa; a S. Damiano ne vivevano cinquanta. Oggigiorno ci sono comunità in tutto il mondo, di cui più di 100 in Italia, con più di 18 mila monache nel mondo.
Molti prodigi e miracoli sono attribuiti a Santa Chiara d’Assisi, tra cui:
Per aver contemplato, in una Notte di Natale, sulle pareti della sua cella, il presepe e i riti delle funzioni solenni che si svolgevano a Santa Maria degli Angeli, fu prescelta, da Pio XII, nel 1958 quale protettrice della televisione.
Per l’intercessione di santa Chiara, che Dio ha fatto splendere di santità e sapienza, preghiamo il Signore di donarci saggezza evangelica e innocenza di vita e di comprendere sempre più profondamente il valore della vocazione, che è dono di Dio, da far fruttificare nel tempo che ci è dato.
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - 09 febbraio 2025 - ANNO C -
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