Pillole di SpiritualiTà
Confessiamo senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia, non con rossore, ma con fierezza. (Sant'Agostino)
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Un seminarista ci racconta i suoi nonni
di Alessandro Rigon
Premetto che non ho alcuna intenzione di aprire una causa di beatificazione o santificazione nei confronti dei miei amati nonni, mancati quest’estate a distanza di un mese uno dall’altro, che come tutti gli esseri umani in carne e ossa sono segnati dal peccato originale e dalle conseguenze che questa “distrazione” da parte di Adamo ed Eva ha portato sull’intera umanità...
In ogni caso, personalmente, i nonni sono stati sempre un grande punto di riferimento e soprattutto di esempio.
Faccio un breve cenno storico di nonno Umberto Gili e della nonna Nilda Guzzo, perché penso possa essere utile per poi capire meglio ciò che voglio condividere assieme a voi.
Nonno Umberto è nato il 29 Aprile del 1923 a Longa di Schiavon, da una famiglia artigiana ed era il terzo di sei fratelli. Dopo sei mesi di vita sembrò spegnersi, tanto che venne rilasciato un certificato di morte dal medico di base a causa di una malnutrizione. Durante quella notte però, la sua mamma sentì il piccolo Umberto muoversi tra le sue braccia mentre dormiva e lo portò dal medico, che tra lo stupore non fece altro che stracciare il certificato di morte.
All’età di circa 22 anni venne internato per 22 mesi nel campo di concentramento nazista di Mauthausen (Germania) e questa esperienza lo segnò per tutta la vita, sia da un punto di vista di condivisione dell’essenziale per sopravvivere e sia per il fatto di riconoscere che ogni giorno in cui apriamo gli occhi è un dono di Dio.
Nonna Nilda è nata il 28 Settembre del 1929 a Nove (VI), in una famiglia umile: il padre infatti faceva il minatore a Cogne in Val d’Aosta, per crescere i propri figli. Cresciuta con valori molto cristiani, dal cuore sempre generoso, molto comprensivo e coerente nel vivere il Vangelo di Gesù Cristo.
Si sposarono nel 1952 e hanno vissuto assieme 70 anni di matrimonio, un traguardo che io penso sia esempio di fedeltà e di amore.
La lettera di San Giacomo dice che “la fede senza le opere è morta” (Gc 2:20).
Andiamo allora di corsa ad alcuni episodi della loro lunga vita, che hanno sempre suscitato dentro di me un desiderio di gratitudine nei confronti dei nonni.
La prima “opera di fede”, richiamando la lettera sopraccitata, la chiamo accoglienza.
Un giorno la mamma mi ha raccontato che un senzatetto è andato a chiedere carità nella falegnameria di proprietà del nonno e senza indugiare lo hanno portato a casa, prendendosi cura di lui e offrendogli l’alloggio per due anni. Questa non è l’unica vicenda, ma una delle tante che potremmo ricordare della vita dei nonni: la porta della loro casa è sempre stata un rifugio per tante persone che avevano bisogno, questo faceva in modo che la famiglia fosse sempre molto “allargata”.
Ho sempre visto nei miei nonni un desiderio grande di compassione. Questo era senza dubbio interiorizzato dall’esperienza della sofferenza nel periodo della prigionia a Mauthausen. Chi ha sofferto sa anche andare incontro a chi soffre. Noi siamo capaci di tenerezza quando siamo capaci di condivisione. Quando siamo capaci di non scappare davanti alla sofferenza delle persone, di stare con loro, di sentire con loro, di non abbandonarli, di non amplificare la loro sofferenza lasciandole da sole. Tu piangi, io piango le tue stesse lacrime, tu sei nella gioia e io gioisco della tua stessa gioia. Invece, molto spesso, sapete cosa succede? Quando una persona soffre tutti scappano e quando una persona è nella gioia scatta l’invidia degli altri. In entrambi i casi c’è solitudine.
La seconda opera la chiamo fedeltà.
Negli ultimi giorni di vita della nonna, nonostante soffrisse di un tumore che gli provocava forti dolori, nonno Umberto si alzava dalla sua poltrona e andava spesso al capezzale del letto a farle compagnia, a tenerle la mano e a condividere con lei il momento più difficile della vita, cioè il passaggio alla vita eterna.
Penso che l’amore non sia mai da confondere con il sentimento. L’amore è una decisione e il fatto che anche a novant’anni suonati i nonni fossero ancora innamorati come il primo giorno in cui si sono incontrati è dimostrazione che il vero amore risiede nella conoscenza del cuore, più che in quello della carne.
La terza opera che ha sempre commosso il mio cuore è quello che san Paolo cita nella lettera ai Colossesi in cui dice “Fratelli, rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti”.
L’amore ti porta a non parlare mai male della persona che ami e questo l’ho sempre visto nei miei nonni
L’amore ti porta a non parlare mai male della persona che ami e questo l’ho sempre visto nei miei nonni, tanto che anche i sacerdoti Servi del Cuore Immacolato di Maria, che spesso passavano da casa mia per salutarli, rimanevano molto colpiti da ciò che vi sto raccontando. Non solo si limitavano a non parlare male, nonostante alcune volte ci potesse essere il motivo a causa del carattere di ognuno o dell’età avanzata che necessariamente porta a far emergere sempre di più la parte di sé più indigesta all’altro. Sapevano sempre mettere in evidenza il bello che ognuno aveva.
Questo mi ha portato a riflettere sul fatto che la convivenza è veramente una forma di martirio e di purificazione: vivi con una persona e sei costretto a fare i conti anche con quello che non ti attendevi e non ti corrisponde, anche con quello che meno ti piace. Ma che cos’è l’amore, se non l’amare in maniera inutile l'altro, amarlo anche nella sua parte non utile, amarlo anche in quella sua parte “no”?
Passiamo all’ultima opera che chiamo preghiera e che è il fondamento su cui hanno costruito la loro vita di coppia.
La loro giornata si apriva con il segno della croce fatto assieme, prima di colazione, e terminava con la benedizione che si davano spiritualmente al termine della giornata con le preghiere della sera. In particolare, la nonna aveva una grande devozione a Maria Santissima e per lei il Rosario era il suo pane quotidiano. Questo ha portato, con il suo esempio, a coinvolgere anche il nonno, tanto che negli ultimi anni della vita lo facevano sempre assieme e più volte al giorno.
Perché ho messo alla fine il tema della preghiera che i nonni hanno vissuto? Perché se hanno fatto tanta carità, se hanno avuto il cuore generoso, se hanno vinto le loro difficoltà che tutti viviamo, se sono sempre stati fedeli per 70 anni della loro vita, non è perché erano più bravi degli altri, ma perché la grazia li ha lavorati, plasmati, resi sempre più docili al volto di Cristo.
Concludo dicendo che se io oggi mi trovo in Seminario, con il desiderio di consacrami a Gesù per tutta la vita, è perché i nonni hanno seminato dentro il mio cuore, con la preghiera e l’esempio di donazione reciproca tra di loro.
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Confessiamo senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia, non con rossore, ma con fierezza. (Sant'Agostino)