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I “NO” AIUTANO A CRESCERE?

L’obiettivo irraggiungibile di dare sempre la risposta giusta al momento giusto

di Francesca Mistrorigo

La difficoltà che spesso ci si trova ad avere come genitori nel dire di no ai propri figli è molto comune (forse più nelle mamme), perché ci si chiede con incertezza quando e quanto è opportuno: non troppo, ma neanche troppo poco; si ha paura di traumatizzare o far soffrire il bambino... con l’obiettivo irraggiungibile di dare sempre la risposta giusta al momento giusto.
Inoltre, alla fine, scatta la domanda (anche grazie alla felice abilità dei bambini di fare richieste in modo particolarmente insistente nei momenti in cui siamo più stanchi/stressati): ma perché dire di no?
Se non lo dico, soddisfo e rendo contento il mio bambino, evito sensi di colpa, litigi, arrabbiature…soprattutto problemi, ne ho già tanti!

L’esempio riportato da questa situazione non deve essere visto come una prova di forza tra la volontà del figlio e del genitore, dove il genitore deve essere sempre il più forte nel dire no o al contrario il più buono nel dire si, ma piuttosto può farci riflettere sul fatto che il rischio sta nell’eccesso, sia da una parte, cioè nel dare troppi limiti (dire sempre no) o nel non darli mai (dire sempre si). Direi che oggi nella cultura educativa in cui siamo immersi il rischio di cadere nel primo eccesso è minimo, mentre è più faticoso darsi delle motivazioni per capire la bontà del no, del limite, della regola.

In ambito pedagogico si fa riferimento all’esistenza di due distinti codici educativi: il codice educativo materno e il codice educativo paterno . Non si tratta di una distinzione di genere maschile o femminile; si fa riferimento a due modalità differenti con cui si affrontano i processi che portano alla crescita dei figli.
Il codice educativo materno è finalizzato alla cura, alla protezione del bambino e alla soddisfazione dei suoi bisogni. Nel primo anno di vita questo è fondamentale: il neonato necessita di instaurare una relazione simbiotica con la madre, fondamentale per l’acquisizione di alcune importanti competenze di natura psichica come l’attaccamento e l’autostima. Il bambino, però, soprattutto a partire dal terzo anno di vita, ha bisogno anche di essere sostenuto nel processo che lo conduce ad acquisire autonomia. Qui entra in gioco il codice paterno le cui funzioni tipiche sono il porre limiti, definire regole, stimolare alla conquista della vita, rendere responsabili. Se oggi l’applicazione del codice materno è sovrabbondante ed è prolungato nel tempo, l’attuazione del codice paterno non è ben definito, ha contorni più incerti e ridotti.

Cosa succede al bambino quando sperimenta un no, un limite? Non ottenendo immediatamente ciò che vuole, il bambino sperimenta una situazione di frustrazione. Spesso si ha paura che la frustrazione sia negativa per il bambino, in realtà la situazione di disagio in cui si viene a trovare il bambino, lo rende consapevole di non stare bene e gli permette di attivarsi con sue proprie risorse per uscire da questa condizione . La scoperta e l’utilizzo delle sue risorse lo renderà a poco a poco sempre più sicuro. Quindi paradossalmente si può dire che il no diventa uno spazio di libertà in cui maturare le proprie autonomie e mettersi alla prova. Il genitore che permette al suo bambino di provare frustrazione e disagio implicitamente gli sta dicendo che lo ritiene capace di gestirlo e di trovare una soluzione da solo, quindi trasmette un’immagine positiva che dà fiducia al bambino e favorisce una strutturazione positiva della sua identità. Inoltre, il no rappresenta un confine che dà sicurezza e senso di contenimento al bambino.

Infine, un’ultima considerazione: una volta ho ascoltato un’interessante catechesi in cui il sacerdote relatore sosteneva che la prima parola che Dio ci dice è la realtà che ci circonda, perché le sue prime parole nella Bibbia sono state pronunciate per creare il mondo. Questo per dire che Dio ci parla ancora oggi attraverso la realtà, il quotidiano, ciò che ci accade… realtà che ha aspetti positivi e negativi, ma che siamo chiamati ad accogliere e a benedire o, almeno, a provarci. Il genitore che dice dei no e fornisce regole al suo bambino, ritengo alleni e accompagni gradualmente il figlio, in un contesto comunque protetto, a questa accoglienza della realtà e quindi di Dio, poiché lo rende consapevole che la realtà non può essere solo secondo i suoi desideri, ma che ci può essere del buono e del bello anche nella difficoltà e nel non previsto.

 

1. Novara D., Dalla parte dei genitori, Franco Angeli, 2009.
2. Marcoli A., Il bambino nascosto, Mondadori, 2017.

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