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Il Miracolo Eucaristico di RIMINI

L’Eucarestia: presenza viva di Cristo, l’amore di Dio sulla terra!

SANT’ANTONIO E LA MULA

Quando gli asini ci fanno scuola

di p. Carlo Gili icms

«Andiamo, frate asino; la strada da fare è ancora lunga!». “Frate asino”: così colui che sarebbe stato un giorno conosciuto in tutto il mondo come Sant’Antonio da Padova chiamava il proprio corpo, come aveva imparato dal grande Francesco d’Assisi. Lui, povero frate francescano, portoghese di nascita, per diverso tempo era rimasto nell’umile nascondimento e nessuno si era accorto della sua enorme sapienza e conoscenza delle Scritture, finché un giorno gli era stato chiesto di predicare… e da quel momento aveva cominciato a percorrere l’Italia in lungo e in largo, predicando con immensa eloquenza. Ora stava andando a Rimini, di nuovo. Già, di nuovo: mentre guardava il mare, ricordava come fosse ieri quando si era avvicinato alla spiaggia, dicendo alla folla: «Se voi non mi ascoltate e non vi volete convertire, ecco, mi rivolgerò ai pesci, per confondere più apertamente la vostra incredulità». In quel momento banchi di pesci erano venuti a galla per ascoltarlo e non se ne erano andati finché lui non li aveva benedetti e congedati. Dio poteva fare questo e altro, frate Antonio lo sapeva con tutto il cuore; e, difatti, molte volte il Signore si era servito della sua povera persona per compiere grandi prodigi. Ma gli uomini, incredibilmente, negavano perfino l’evidenza.

Così era per gli abitanti di Rimini. Erano caduti nella più grave eresia del tempo: il catarismo. Ritenevano che esistessero due divinità, una buona ed una cattiva; il mondo materiale sarebbe stato creato dal dio cattivo, per cui tutto ciò che è materiale – la terra, l’aria, la vita umana… i figli! – tutto era da considerarsi cattivo. Non credevano quindi nell’Incarnazione di Cristo né, di conseguenza, nel Sacramento dell’Eucaristia. Oltre a questo, erano violenti e spesso attaccavano ed uccidevano i cattolici, oltre a profanarne le chiese. Poveri stolti! Come era possibile non credere che Dio si è fatto carne? E che, ancor più, è presente sull’altare? Lui, Antonio, ci credeva fermamente; ogni giorno lo stringeva umilmente tra le mani mentre celebrava la S. Messa e si commuoveva ogni volta, come la prima. Era per Lui che non dava sosta a frate asino che voleva un po’ di ristoro, perché ardeva dal desiderio di predicare, di convertire, di far amare quel Dio che tanto amava…

Un passo dopo l’altro giunse infine a Rimini. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma aveva fiducia in Dio, che tutto può. Arrivato in quella che oggi è chiamata “Piazza tre martiri”, si mise a predicare. Nessuno sapeva resistere alla sua sapienza e lui, una ad una, confutava tutte le obiezioni degli eretici, soprattutto riguardo il SS.mo Sacramento. Vedendosi in malparata, uno dei più tenaci – un tale Bonovillo – sbottò: «Basta con le parole, andiamo ai fatti. Se per qualche miracolo potete provare davanti a tutto il popolo che il Corpo di Cristo è davvero presente nell’Ostia consacrata, abiurerò l’eresia e mi sottometterò al giogo della fede». E continuò, lanciando una sfida: «Ecco cosa propongo: a casa ho una mula. Dopo averla lasciata chiusa tre giorni senza cibo la porterò in questa piazza. Alla presenza di tutti, le offrirò un’abbondante quantità di fieno da mangiare. E voi le presenterete quello che dite essere il Corpo di Gesù Cristo. Se l’animale affamato abbandonerà il cibo per correre verso quel Dio che secondo la vostra dottrina dev’essere adorato da tutte le creature, crederò con tutto il cuore all’insegnamento della Chiesa cattolica». Sant’Antonio si fermò, in silenzio, piegò la testa, chiuse gli occhi e si mise a pregare. «Accetto la sfida» disse, dopo qualche istante, con un sorriso pieno di fede che gli solcava il viso. Dio sarebbe stato con lui, anche questa volta.

I tre giorni passarono nell’euforia generale. Bonovillo, come annunciato, tenne la povera mula a digiuno, tanto che si potevano sentire i suoi ragli fino a molto lontano. Frate Antonio passò il tempo in profonda preghiera e – lui pure – nel digiuno, affinché la potenza di Dio si manifestasse. Le grazie, si sa, vanno guadagnate col sudore della fronte e le ginocchia piegate.

Il giorno stabilito tutta la città pareva essersi riversata nella piazza: non c’era angolo rimasto vuoto. Tutti erano in attesa di cosa sarebbe successo, convinti di dare una sonora lezione a quel frate cattolico. Bonovillo arrivò di buon’ora, con fare baldanzoso, portando la mula affamata. «Gliela faccio vedere io a quell’impostore di un frate!», sbraitava sicuro di sé. Il santo, intanto, stava celebrando la S. Messa in una cappella lì vicina con angelico fervore, pregando il buon Dio di mostrare le sue meraviglie. Terminata la celebrazione, uscì con somma devozione tenendo in mano l’ostensorio con la SS.ma Eucaristia.

Che strano duello stava avvenendo in quella piazza! Da una parte l’eretico con in mano dell’ottimo fieno, dall’altra il frate con il Sacramento; al centro, la mula affamata, che doveva scegliere dove andare. E a chi si poteva mai avvicinare, sentendo in se stessa i morsi della fame, digiuna da tre giorni? Eccola, infatti, muovere un primo passo verso il fieno, poi un altro, lentamente, poi… Il frate gridò: «In nome e per il potere del tuo Creatore, che nonostante la mia indegnità ho realmente presente nelle mie mani, ti ordino, povero animale: vieni senza indugio a inchinarti con umiltà davanti a Lui. Gli eretici devono riconoscere che ogni creatura presta sottomissione a Gesù Cristo, Dio creatore, che il sacerdote cattolico ha l’onore di far scendere sull’altare!». Incredibile a dirsi, la mula, al sentire quelle parole ispirate da Dio, prima chinò la testa sentendo il nome di Gesù Cristo, poi si girò di scatto e si mise a correre forsennata verso l’ostensorio. Davanti a Lui si fermò, piegò le ginocchia e si prostrò.

I pochi cattolici presenti esplosero in canti di gioia; i catari si guardavano l’un l’altro, stupiti e confusi. Bonovillo mantenne la parola e, visto il prodigio, capì di essere stato fino a quel momento più testardo di un mulo, così si pentì e credette. Sant’Antonio ringraziò il Signore per essersi manifestato una volta ancora e poi continuò il suo peregrinare, cercando altre pecorelle smarrite da riportare nell’ovile.

E noi, oggi, impegniamoci, quando entriamo in chiesa davanti a Nostro Signore, a non essere meno fervorosi di un povero animale privo di ragione. Gli atteggiamenti esteriori devono sgorgare dal cuore, altrimenti risultano sterili, questo è vero; però essi manifestano e, allo stesso tempo, alimentano, la fede che portiamo nel cuore. Non sia mai che una mula abbia verso il Signore più attenzione e più amore di noi!

 

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