Pillole di SpiritualiTà
Per le ferite d’amore non c’è medicina se non da parte di colui che ha causato la ferita. (San Giovanni della Croce)
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I° parte
Tratto dal sito “Opus Dei”
Prima parte
Nessuno è un verso a sé: «tutti facciamo parte dello stesso poema divino»[1]. Le vicende personali che intessono la storia degli uomini sono intrecciate tra loro dalle relazioni di filiazione, fratellanza, amicizia. Il nostro cuore batte i suoi primi palpiti grazie alla vita di altri, e poi sarà continuamente animato, consolato, rafforzato, a volte anche ferito – da chi condivide con noi il cammino della vita. Il fatto che dipendiamo da altri, e gli altri da noi, non è un effetto collaterale del peccato originale, ma qualcosa di costitutivo del nostro essere a immagine di Dio.
Per quanto la nostra vita sociale spesso possa apparire come una corrente frenetica che tende a farci diventare individualisti, sappiamo bene che siamo del tutto in correlazione, in interdipendenza l’uno con l’altro: soltanto che ci incontriamo quando siamo disposti a uscire da noi stessi. Chi scopre sino in fondo questa realtà smette di vedere nei propri limiti ostacoli che impediscono di essere felici. Le relazioni allora si rivelano come ponti che ingrandiscono il suo mondo[2]. Però, non tutti fanno questa scoperta, o non alla stessa maniera, e per questo in condizioni di analoghe posizioni sociali, educative, di carattere, persone diverse possono vivere in modi radicalmente diversi, secondo la qualità delle loro relazioni: alcuni, persi in una solitaria moltitudine; altri, sempre accompagnati da altri e sempre accompagnando altri.
Uno sguardo che trasforma
Avvicinandosi la fine della sua vita terrena, Gesù dice ai suoi apostoli:«Vi ho chiamato amici» (Gv 15, 15). Colui che è perfetto Dio e perfetto Uomo, il modello al quale guardiamo per imparare a essere uomini, percorre le vie della vita in compagnia di altri. È qualcosa che cogliamo già sin dal suo primo incontro con i dodici: Gesù stabilisce con ognuno di loro una relazione che procede in un crescendo di conoscenza, di amicizia, di amore, sino a rivelarsi loro cuore a cuore. Chi legge il Vangelo conosce i limiti, i difetti di coloro che poi saranno le colonne della Chiesa. Forse, che Lui non li vedeva? Ovviamente si, la parola del Verbo è creatrice; il suo sguardo d’amore li rende forti, perché è uno sguardo pieno di fiducia. Quegli uomini rozzi si sanno amati, eletti, e crescono più di quanto mai nessuno potesse immaginare, perché percepiscono la fiducia che il Signore ha in loro. Lo stesso accade nella nostra vita, quando ci rendiamo conto dell’amore che Dio ci vuole. Per quanto solitamente parliamo dell’importanza di credere in Gesù, non dobbiamo dimenticare che ciò che più ci trasforma è il fatto che Lui confida in noi. Si, un segnale preciso del fatto che la nostra fede va maturando è che ci appoggiamo sempre di più sulla fiducia che Dio ha in noi.
Guardiamo il discepolo che restò fedele accanto a Gesù sotto la croce. Qual è il segreto di tale coraggio? Magari proprio il soprannome con il quale si riferisce a se stesso: «il discepolo che amava». Giovanni scopre la propria identità nel fatto di essere amato da Gesù: ciò dilata il suo cuore e le sue forze, e lo rende capace di una ammirabile fedeltà. Il suo racconto dell’ultima cena riflette sino a che punto era entrato, con la sua fiducia, nel cuore di Gesù. È proprio così: la fiducia ci consente di raggiungere una conoscenza molto più profonda di quanto non sia possibile con la sola ragione.
Così come è entrato nella vita degli Apostoli, suoi amici, Dio vuole entrare nella nostra. Anche la nostra relazione di amicizia con Lui può seguire adesso quella linea ascendente, in modo che la nostra capacità di amare si ingrandisca sempre di più. Con un profondo rispetto della nostra libertà, Gesù ci offre la sua amicizia, nella quale si mostra una fiducia che ci fa scoprire chi siamo per Lui[3]. Per crescere ed esercitare con naturalezza la nostra libertà, abbiamo bisogno di essere sicuri di noi stessi; una sicurezza fondata, soprattutto nel sapere con certezza che uno come Lui (e, “chi come Dio?”) punta su di noi… Una tale convinzione rende possibile la nostra crescita, perché quando qualcosa di buono ci risulta costoso, quando ci vediamo incapaci di superare noi stessi, la fiducia di Dio in noi fa crescere la nostra. La fiducia sincera rivela le potenzialità che si nascondono nell’intimo di ciascuno, sepolte spesso da una scarsa autostima o dal timore dell’insuccesso, e spinge a dedicarla al servizio degli altri: ci fa crescere in modo naturale, armonioso; ci rende capaci di altro ancora.
È così che Gesù ama i suoi: conosce quelli che ha scelto, li conosce meglio di chiunque altro – meglio di loro stessi – e tiene a loro. Sa sin dove possono arrivare e, confidando nel tempo e nella loro corrispondenza, li va conducendo poco a poco; non ha fretta di formarli, perché sa che questa è un’arte che richiede pazienza. È un buon maestro e sa “perdere” il tempo con loro, come sanno fare gli amici. Si guadagna la fiducia dei suoi con il suo affetto e rende facile la reciproca conoscenza con la sua paziente disponibilità, con la sua comprensione. Tale modo di amare, così divino e così umano, forgia una vera amicizia tra il maestro e i discepoli, che li coinvolge e trae il meglio da loro.
[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 111.
[2] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1937.
[3] Cfr. Sal 8, 5-7: «Che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi? Davvero l'hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani».
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