Pillole di SpiritualiTà
La tua preghiera è un discorso con Dio; quando leggi, Dio parla con te; quando preghi, tu parli con Dio. (Sant'Agostino)
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Il senso dell'attesa
di P. Carlo Gili icms
3 secondi. È quanto dura la memoria di un pesce rosso. O almeno, così si dice, anche se forse si tratta di una leggenda metropolitana. Ma tant’è, a me ha sempre fatto sorridere questa scoperta: pensare al povero pesciolino che è prigioniero di un acquario, ma in realtà non sa di esserlo, perché, dopo che ha sbattuto contro il vetro, non fa in tempo a nuotare fino all’altra parte che si è già dimenticato dell’ostacolo. Crede continuamente di essere libero in mare aperto! Fa quasi tenerezza, il piccolo smemorato.
8 secondi. Questa, invece, è la attuale soglia di attenzione delle persone, secondo alcuni studi. Sinceramente mi sembra un po’ pochino, non mi fido molto… ma una cosa è certa: la soglia è diminuita tanto negli ultimi anni. Si passa da una cosa all’altra con velocità incredibile, salvo poi non ricordarti cosa hai fatto, letto, visto. Che hai fatto, oggi? Boh! E perché lo hai fatto? Ehm…
Diceva un prete che un uomo si vede che tipo è da come trascorre il suo tempo libero. Il nostro è un tempo di distrazioni, ne abbiamo di tutti i tipi. Una la fa da padrona: basta vedere un qualunque gruppo fermo alla stazione, dove avranno tutti lo sguardo? Sì, avete indovinato e la risposta non è “verso un bel paesaggio” – a meno che quel paesaggio non sia lo sfondo dello smartphone. E tu cosa fai appena hai trenta secondi liberi? Non guardi forse il telefono, vagando senza meta tra le app, tanto per passare il tempo? Distrarsi è una cosa bella e utile, in alcuni casi; ma non sempre è buona. Quando perdi il contatto con la realtà, quando perdi memoria di ciò che sei perché sei attento solo a distrarti, allora non sei lontano dal pesce rosso, illuso di avere tutto un oceano a tua disposizione. Ma rimani comunque dentro una boccia di un metro cubo.
Scriveva Orazio nell’Ode XI: «Non cercar di sapere quale fine gli dei abbiano assegnato a me, quale a te… sii saggia! Restringi in un ambito breve le lunghe speranze. Mentre noi parliamo, sarà già sparita l’ora, invidiosa del nostro godere. Cogli la giornata d’oggi – carpe diem – e confida il meno possibile in quella di domani». A molti piacciono questi famosi consigli; a me no, sinceramente. Un tale stile di vita, infatti, impedisce di vivere la propria esistenza come “storia”: se la vita è la somma di tanti istanti slegati tra loro, se manca al suo interno di un filo conduttore, se lo scorrere del tempo non va verso alcun fine, la nostra vita è sconclusionata. Penso per esempio ad adulti che non crescono mai, vogliono restare adolescenti e come tali si comportano. Chi vive spensierato non ci pensa, ma quando ci pensa non trova il senso del proprio esistere. Non resta che una cosa: continuare ad evadere. Oppure cercare finalmente questo filo conduttore, questa memoria delle cose che dà il senso vero a tutto, che ci fa amare la vita e ciò che abbiamo.
«Si potrebbe dire – insegnava Papa Benedetto XVI – che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo». Qui sta il punto: cosa attendo? Uno dei miei poeti preferiti, Ungaretti – tanto amato dagli studenti perché scrive poesie di due righe – recita: «Soldati. / Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie». Un soldato al fronte (siamo nella Grande Guerra) è in attesa, ma di cosa? Come la foglia autunnale aspetta solo di cadere, così il soldato senza speranza attende la morte che arriva, inesorabile. Questa, in realtà, non è attesa, la chiamerei piuttosto rassegnazione. L’attesa è viva, dinamica, piena di speranza. L’Avvento, tempo di attesa per eccellenza, ci ricorda che attendiamo qualcosa che dà senso, che riempie la vita. È per qualcosa di migliore che sappiamo aspettare, altrimenti avrebbe ragione Orazio col suo carpe diem.
«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna… perché ricevessimo l’adozione a figli» (Galati 4,4). Il tempo corre verso una pienezza che dà senso a tutto; come una donna gravida, che è in attesa di un evento ed i suoi giorni sono contati a partire dalla nascita del figlio, momento verso cui tutta la persona si muove. Dio si fa uomo, si incarna nel tempo, così che ogni tempo è diventato pienezza, cioè occasione di incontro con Lui. Significa che la vita che passa non è mai senza significato; di più, che ogni istante, qualunque cosa si faccia, in qualunque modo venga vissuto, è una chiamata ad incontrare Dio, è un dono ricevuto per restituirlo a Dio carico di bene. Ogni istante sa di eternità. Il punto è rendersene conto. L’Avvento ha il pregio di ricordarmelo: attendo Dio perché desidero stare con Lui e che Lui stia con me.
Ma perché non sembri un discorso bello, ma astratto, pensiamo che attendere il Dio che si incarna ci porta a comprendere meglio il valore che ha la pazienza, la cura attenta, la dedizione lenta alle cose di ogni giorno. Ci vuole tempo e pazienza per costruire una bella casa. Se non li hai, vai in affitto – ma non sarà mai la stessa cosa.
«Voi siete belle, ma vuote» – diceva il Piccolo Principe alle rose – «Non si può morire per voi. [La mia rosa] da sola è più importante di tutte voi, perché è lei quella che io ho annaffiato. Perché è lei quella che ho messo sotto la campana di vetro. Perché è quella che ho protetto col paravento. Perché è quella di cui ho ucciso i bruchi. Perché è quella che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, e a volte perfino stare zitta. Perché è la mia rosa». E la volpe gli risponde con questa perla: «È il tempo che hai perso per la tua rosa che la rende così importante». È il tempo che “perdi” per qualcuno, per un lavoro, per preparare un esame, che ti dà soddisfazione quando è il momento. In un’abbazia ho visto il refettorio monumentale con gli scranni di legno tutti ornati di intarsi: un monaco anticamente ha passato tutta la vita – ripeto, tutta la vita – a realizzarli a mano, uno per uno, con lo scopo di realizzare una cosa bella. Tempo perso? Beh, oggi andiamo a vederne i frutti e restiamo a bocca aperta.
Continuava Benedetto XVI: «Ognuno di noi, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore?». Non voglio attendere di nuotare libero nel mare, per accorgermi prima o poi di essere in un acquario. Per Natale voglio chiedere un cuore nuovo, non distratto ma attento, che ha memoria del bene ricevuto e che ha speranza nel futuro. Di non essere un pesce rosso, insomma, ma un vero figlio di Dio.
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LA MEMORIA DEL PESCE ROSSO
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