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Lavanda dei piedi, Eucarestia, Sacerdozio

Tre espressioni dell’amore di Dio che si dona

di padre Francesco Mazzi icms

Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

Il Triduo Pasquale inizia con queste bellissime parole che l’evangelista San Giovanni riporta nell’incipit del Vangelo, letto il Giovedì Santo nella messa in Coena Domini.

Il Figlio dell’Uomo, che era venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti, ci amò sino alla fine, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, scegliendo la via dell’umiliazione e dell’abbassamento totale di sé. Questo voler amarci sino in fondo si tradusse in quell’Ultima Cena in tre gesti concreti, in un triplice abbassamento.

Innanzitutto, il Signore si mise a lavare i piedi dei suoi discepoli, un gesto che nella mentalità ebraica un padrone non poteva chiedere nemmeno al suo servo.

Gesù si china, si abbassa e lava i piedi impolverati dei suoi discepoli, per darci l’esempio, per insegnarci che cosa significhi vivere quel comandamento supremo che annuncerà, subito dopo aver compiuto quel gesto: “questo è il mio comandamento: che vi amiate come io vi ho amati. Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”. Ciò significa amare soprattutto chi hai accanto: le persone a te vicine, quelle di cui conosci tutti i difetti, i “tic”, i limiti, i peccati, tutto ciò che di queste persone ti dà fastidio e non sopporti: il Signore lava i piedi di persone conosciutissime. Quel “voi” da amare, come Cristo ci ha amati, non sono tanto i lontani – a volte è più facile voler bene, esercitare la carità verso gli estranei – ma i vicini, quelli che conosci benissimo: tua moglie, tuo marito, i tuoi familiari, i tuoi amici, i colleghi di lavoro, i confratelli, le consorelle, i laici che fanno parte della tua Famiglia spirituale.

A volte questo servizio della carità si tradurrà nel fare qualcosa per gli altri; altre volte nell’astenersi dal fare qualcosa e prendere la strada del silenzio, esercitando pazienza e benevolenza, cercando di promuovere il bene dell’altro; altre volte sarà il non cercare la fuga di fronte ai doveri e alle responsabilità che la tua vocazione battesimale e particolare ti impongono.

Gesù, però, non compie solo questo gesto simbolico, ma anche istituisce l’Eucarestia, che è l’apice del suo abbassamento, ancora di più della sua Passione e Morte in Croce. Si fa cibo per noi suoi figli e sceglie di rimanere con noi, qui sulla terra, fino alla fine del mondo; si fa compagno della vita dell’uomo, rimanendo prigioniero in tanti tabernacoli sparsi nel mondo. In quell’Ostia Dio è inerme, in balia dell’uomo; e, spesso, da parte degli uomini che tanto ama patisce indifferenze, se non addirittura sacrilegi. Solo nutrendoci dell’Eucarestia, adorando l’Eucarestia possiamo incarnare quel “comandamento supremo”, possiamo dare anche noi la vita per i nostri amici, amare le persone a noi vicine, essere capaci di questo “amore dell’altro mondo”, come è l’amore di Cristo per noi: un amore paziente, senza misura, senza riserve, che ti ama anche quando sbagli, che ti lascia libero.

Noi, per natura, non siamo capaci di amare così: i nostri amori sono “piccini”, sono “interessati”, arrivano fino ad un certo punto in termini di generosità, di perdono. Più in generale, noi facciamo fatica a dare amore perché siamo tutti orientati, per natura, a ricevere. Siamo sempre lì a pretendere dagli altri e a tenere una contabilità dettagliatissima di cosa gli altri fanno per noi, anziché essere afferrati da questo amore più grande di Gesù. Invece di dare la propria vita per gli altri, stiamo a misurare quanto riceviamo, quanto ci viene dato, che cosa si fa a noi, come stiamo nel cuore degli altri, quanto gli altri ci vogliono bene… Questo perché noi abbiamo un cuore terribilmente pretenzioso, che non si preoccupa di implorare questo amore capace di dare la vita. L’Eucarestia è il farmaco per vivere questo comandamento radicale. 

Il terzo concreto abbassamento, che compie Gesù per amore nostro, è quello di istituire il Sacerdozio ministeriale. Ci fa dono dei sacerdoti. Il Sacerdozio oggi, spesso, viene mal visto, è considerato quasi “un mestiere” anacronistico, fuori dal tempo. Il dono del Sacerdozio è invece la vocazione-missione più grande che Dio possa concedere a un uomo. Gli fa dono del potere divino di rimettere i peccati; si fa comandare dal sacerdote e alle sue parole, nella consacrazione Eucaristica durante il sacrificio della Messa, nelle mani di un povero peccatore s’incarna nuovamente, patisce, muore e risorge. Che rinnegamento di sé e della sua divinità, della sua regalità! E tutto questo lo fa per amore dell’uomo, rendendoci capaci di amare come Lui ci ha amati, perché in questo sta la nostra beatitudine. Senza il sacerdote non ci sarebbero né l’Eucarestia né la Confessione, che sono i due sacramenti che fanno “ripartire la vita”.

Noi, spesso, perdiamo le energie per fare il bene, gli eventi della vita ci esauriscono, perdiamo le giuste motivazioni, usciamo da questa prospettiva dell’amore più grande e allora abbiamo bisogno d ricaricare “le pile”. E ciò avviene proprio attraverso l’Eucarestia e la Confessione. Ci viene ridonata la grazia soprannaturale, per amare come Dio ci amati e fare nuovamente della nostra vita un dono per gli altri.

Dio si è abbassato per rialzarci dopo il peccato originale e per farci grandi, per ridonarci quella dignità di uomini e donne creati a immagine e somiglianza sua.

Nell’exultet nel giorno di Pasqua si canta: felice colpa che ci ha meritato un così grande Redentore!        

 

 

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