Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)
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- Prima parte -
di Furio Lambruschi [1]
- Parte prima -
Cosa c’è dentro quell’aggeggio di pochi centimetri?
“Marco sta crescendo e ci ha detto che, siccome tutti ce l’hanno, anche lui vuole il telefonino … stiamo pensando a quando e come prenderglielo”.
Caro genitore, che ti stai ponendo questi dubbi, come tanti genitori con figli preadolescenti, anzitutto è importante che tu sappia che quello che chiami “telefonino” in realtà non è affatto un telefonino. Quell’aggeggio di pochi centimetri è un potente supporto identitario digitale, in cui ciascuno di noi quotidianamente non solo deposita le proprie tracce identitarie ma le costruisce attimo per attimo, le genera nella relazione con altri virtuali più o meno conosciuti/sconosciuti e nell’interazione continua con un mondo smisurato e misterioso che sta dietro quel piccolo schermo.
Come tutti noi sappiamo (pur cercando attivamente di non averne consapevolezza), la componente strettamente “telefonica” dei moderni smartphone, è ormai assolutamente irrilevante rispetto al resto delle sue complesse funzioni:
Dunque c’è, a portata di mano, anzi di pollice, tutto il mondo e tutto ciò che gli esseri umani hanno sempre utilizzato per definire i contorni del proprio Sé, della propria personalità, della propria identità, appunto.
Sulla prima schermata del “telefonino” di tuo figlio, caro genitore, sappi che troverai tutte le App dai contenuti più “condivisibili” e accettabili in ambito familiare … per spostarci, via via, sfogliando le altre schermate, verso contenuti più “riservati”. E’ vero che “dove c’è un adolescente c’è un segreto” e quindi è naturale (e pure sano!) che un ragazzo a questa età abbia degli spazi di intimità e demarcazione rispetto ai familiari; ma è anche vero che i segreti che un adolescente custodiva qualche decennio fa nel suo diarietto nascosto o durante le scorribande col gruppo dei pari in un quartiere poco lontano da casa, avevano in sé valenze, magari anche preoccupanti, ma molto più controllabili, supervisionabili, gestibili, meno inquietanti rispetto ai segreti e alle esplorazioni del web sconfinato.
Inquisitor3
È di pochi giorni fa la drammatica notizia di Vincent, un ragazzo bolognese che si è suicidato in diretta su TikTok, vittima di cyberbullismo. Sulla notissima piattaforma cinese Vincent impersonava da tempo Inquisitor3, un personaggio che lo aveva reso sempre più popolare fino a raggiungere nella scorsa estate ben 300 mila followers. Non avrebbe retto una serie di accuse false e diffamanti che una coppia di fidanzati hanno fatto circolare su di lui sul web (compresa quella di pedofilia) allo scopo di demolirne il personaggio e ricavarne visibilità.
Che cosa sta accadendo ai nostri giovani? Abbiamo (non dico consapevolezza che è una parola troppo grossa) ma almeno una minima idea di ciò che quotidianamente accade a milioni di ragazzi che navigano su queste piattaforme? La domanda è ovviamente retorica, perché la risposta è, decisamente, no.
Ascoltando storie di questo genere, ciò che impressiona è come su questi social si possano in poco tempo costruire e demolire identità che, viste da fuori, per quella che abbiamo sempre considerato come “realtà”, apparirebbero come il nulla più totale, ma contemporaneamente un nulla difficile da decifrare e a volte un po’ inquietante: basta osservare qualche secondo del video in cui il ragazzo mascherato dà voce e corpo al famoso Inquisitor3, per capire che cosa stiamo dicendo (è un’immagine inquietante di uno scheletro incappucciato). Eppure il modo in cui la rete è in grado di amplificare il nulla, in un crescendo di like e di followers impazziti, porta a muovere sentimenti di ammirazione, smanie di successo e di popolarità, narcisismi e invidie tali da produrre effetti assolutamente reali, fino alla morte.
Curioso anche, che il ragazzo, prima di arrivare al tragico atto finale, abbia tentato un momento di ritiro e di pausa dalla sua attività su internet dichiarando: “Stavo cercando di disintossicarmi un po’ dai social”. Forse un tragico e paradossalmente “pericoloso” momento di consapevolezza … perché quando si ferma la giostra virtuale, come vedremo tra poco, c’è il rischio di entrare in contatto con le emozioni critiche che ci stanno sotto e che la tengono in piedi, cioè spesso sentimenti depressivi, di vuoto, di inutilità, di mancanza di senso.
Adolescenti iperconnessi
Va da sé che un uso “moderato” dello smartphone potrebbe apportare indubbi vantaggi nella comunicazione, nello studio, nel lavoro, come sempre è avvenuto con l’introduzione di ogni nuova forma di tecnologia. Ma da abitudine a dipendenza, il passo è breve. Anzi brevissimo. Questo è il rischio principale a cui vanno incontro adolescenti e preadolescenti, ormai sempre più precoci nell’uso di smartphone e tablet e sempre più connessi.
Di fatto, al di là delle buone intenzioni spesso dichiarate, secondo dati Istat riferiti al 2018, l’85% degli adolescenti tra 11 e 17 anni usa quotidianamente il telefonino, il 72% naviga su internet tutti i giorni, percentuale che solo 4 anni prima era del 56%. Le più frequenti utilizzatrici sono le ragazze, che hanno anche un rischio di dipendenza tre volte maggiore rispetto ai maschi coetanei, perché trascorrono più tempo sui media device soprattutto alla ricerca di maggiori relazioni sociali. Circa il 60% dei ragazzi controlla lo smartphone come prima cosa appena svegli e come ultima cosa prima di addormentarsi. Il 63% (tra 14 e 19 anni) usa lo smartphone a scuola durante le lezioni; il 50% dichiara di trascorrere dalle 3 alle 6 ore extrascolastiche al giorno con lo smartphone in mano.
I campanelli d’allarme
Quali sono i principali campanelli d’allarme che i genitori possono utilizzare per riconoscere il rischio di dipendenza da smartphone nei propri figli? I primi segni sono quelli più espliciti, di tipo fisico: alterazioni del ciclo sonno-veglia, le ore di sonno che si riducono drasticamente, stanchezza, problemi visivi e occhi irritati, dolori al collo, alle spalle e alla schiena, scarsa igiene personale. E poi quelli di tipo comportamentale e psicologico: frequente connessione online che sostituisce i rapporti dal vivo; mancanza di interessi nelle attività della vita quotidiana e incapacità di parlare di cose diverse da quelle che si vedono in internet; sintomi da astinenza quando il dispositivo è inaccessibile; controllo compulsivo delle informazioni online; cambiamenti dell’umore e soprattutto un’eccessiva ricerca di privacy e di intimità; infine difficoltà di attenzione, distraibilità e quindi problemi negli apprendimenti e calo nel rendimento scolastico.
A questo riguardo, l’utilizzo pervasivo di questi dispositivi anche come strumenti rapidi per l’apprendimento (fermi restanti tutti i vantaggi che possono avere in termini di supporto a ragazzi con specifici deficit neuropsicologici) ha introdotto un nuovo modo, prevalentemente visivo, di elaborare l’informazione che sta letteralmente trasformando il nostro cervello e le nostre funzioni cognitive. Un dato impressionante è che per la prima volta nella storia dell’umanità, le nuove generazioni (cioè i nativi digitali) mostrano un quoziente intellettivo inferiore a quello delle generazioni precedenti. Dal 1938 in tutto il mondo industrializzato, il QI della popolazione è sempre cresciuto. Ma a partire dai primi anni duemila si è cominciata a rilevare una tendenza inversa: ora il quoziente intellettivo, con il passare degli anni, anziché aumentare nella popolazione, diminuisce. Tra i vari fattori ambientali presi in considerazione per spiegare questo fenomeno, oltre alla formazione scolastica e alla diminuzione del tempo dedicato alla lettura, molti studiosi chiamano in causa proprio l’utilizzo eccessivo di videogiochi e internet. Continua...
[1] Psicologo, Psicoterapeuta, Dir. Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva, Consacrato FCIM Opera “Nostra Signora di Fatima” Forlì
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Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)