Pillole di SpiritualiTà
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene. (Sant'Agostino)
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di Chiara Buson
Il nome Matteo è stato spesso apprezzato e dato a tanti figli delle nostre famiglie, soprattutto cristiane, dell’epoca appena trascorsa: la fede semplice, ma profonda dei nostri nonni ci ha sempre insegnato ad affidarci - e quindi anche i nostri figli - alla protezione degli angeli, di qualche santo o qualche apostolo portando il suo nome, affinché guidasse i passi della vita sulla via del bene, della serenità ed ispirasse la persona nelle scelte future.
E l’esperienza di vita di S. Matteo rappresenta molto bene ciò che ciascuno di noi può vivere e sulla quale può riflettere, come un programma di vita e di conversione.
La prima caratteristica che tutti conosciamo di S. Matteo è che è stato un Apostolo di Gesù, quindi una persona molto vicina al Signore; è stato, inoltre, uno dei quattro evangelisti, quei personaggi che ci hanno permesso di conoscere Gesù, la sua vita, morte e resurrezione, nonché il suo messaggio.
Tuttavia S. Matteo non è sempre stato così, fin dall’inizio della sua storia che tutti noi conosciamo. Era “un’altra persona”, si chiamava perfino con un altro nome: Levi. “Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: <>. Egli, alzatosi, lo seguì”. (Mc 2, 13-14).
Gesù continua anche oggi a farsi presente nella storia dell’umanità, lungo il mare delle nostre esistenze; tanti - “la folla” - vanno a lui per curiosità, per qualche necessità, senza tanto impegno, così, perché tutti lo fanno, ma Gesù ammaestra comunque, anche se non gli prestiamo tanta attenzione. Nel passare, però, ci vede, perché ci conosce perfettamente, conosce tutto di noi: la nostra storia, da chi veniamo - “il figlio di Alfeo” - chi siamo in particolare, con tutti i nostri pregi e difetti, conosce come siamo, il nostro nome, sa dove facciamo fatica, sa quali sono i nostri crucci, conosce le nostre debolezze e ce lo dice, ci chiama per nome. Sa anche che tante volte abbiamo sbagliato, tante volte abbiamo forse approfittato degli altri, li abbiamo “derubati”, li abbiamo “costretti” al sacrificio, li abbiamo fatti soffrire. Eppure Gesù, senza altre aggiunte, ci chiama <>! Ce lo ordina, quasi, anche se non ne siamo degni, spinto dall’immenso amore che ha per noi, rispondendo alle critiche di coloro che lo vedevano stare insieme ai pubblicani. "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". Così, se decidiamo finalmente di seguire Gesù, non stiamo lì a calcolare nulla, a progettare chissà quale rendiconto, no, molliamo tutto e lo seguiamo.
Ecco il cambiamento, da Levi diventa Matteo: ci fa persone nuove, lì dove ci troviamo, come descrive S. Matteo stesso, nel suo vangelo: “Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo.” (Mt 9, 9) E non possiamo più stare fermi, lì dove siamo, al banco delle imposte, nei nostri progetti, nei nostri pensieri, tutti rivolti su noi stessi, chinati sul nostro io, sulle nostre preoccupazioni, con i nostri punti di vista, modi di pensare, etc. Dobbiamo alzarci immediatamente, scrollarci di dosso l’egoismo che ci blocca e ci pesa e, con grande slancio, imparare a seguire Gesù. Solo in Lui possiamo trovare la forza di staccare lo sguardo da noi stessi e da quello che stiamo accumulando, per portarlo sul Signore. Ecco che, diventando suoi discepoli, troviamo il senso della vita e ne siamo così felici, che non vogliamo più perderlo, lo vogliamo con noi, lo invitiamo a casa nostra: “Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano” (Mc 2. 15). Così Levi, oggetto della Misericordia di Dio, diventa discepolo di Gesù e poi Apostolo, inviato da Lui ad evangelizzare tutti i popoli.
Prima di essere chiamati, anche noi eravamo seduti al nostro "banco", ma ora dobbiamo impegnarci e ogni giorno ricominciare a lavorare su noi stessi per non rischiare di risederci. Dobbiamo essere vigilanti, sentire e vedere il Signore che passa e ci chiama, perché Lui non si spaventa della nostra debolezza e dei nostri limiti, ma riversa su di noi la sua Misericordia, permettendoci, così, di riversarla sugli altri.
Ciascuno, nel proprio ambiente, è chiamato ad essere apostolo: una volta sperimentato l’amore di Dio e la sua bontà, non riusciamo più a tenere tutto solo per noi, ma spontaneamente siamo portati a trasmettere ciò che abbiamo vissuto e che ci fa felici, tanto da spendere la vita per Dio e per gli altri, un po’ ogni giorno, anche se non moriremo martiri.
S. Matteo ci protegga, ispiri le nostre decisioni e interceda per noi!
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