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SAN BARTOLO LONGO

"Chi propaga il Rosario è salvo!"

di P. Ennio Castellano icms

«Facciamo festa perché la canonizzazione del Beato Bartolo Longo è, ancora una volta, una dichiarazione d’amore che Dio fa all’umanità». Queste le parole dell’Arcivescovo del Santuario di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, dopo la notizia tanto attesa della canonizzazione del Beato Bartolo.

E’ una bellissima espressione quella usata da mons. Tommaso perché fa comprendere, in poche parole, il grande mistero d’amore che Dio riserva alle sue creature.

Donando all’umanità il “dono dei santi”, Dio ci esorta a camminare sulla strada che Lui ha pensato per ciascuno di noi: la propria vocazione alla santità.

Ma chi è un “santo”? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega:
“Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i santi quali modelli e intercessori. «I santi e le sante sono sempre stati sorgente e origine di rinnovamento nei momenti più difficili della storia della Chiesa». Infatti, «la santità è la sorgente segreta e la misura infallibile della sua attività apostolica e del suo slancio missionario»” (CCC, n. 828).

Nei momenti bui e nefasti della storia umana, Dio non ha mai smesso di tendere all’uomo la sua amicizia; ha fatto sgorgare nei cuori di alcune persone l’amore vero: ed ecco i santi, trascinatori e fari di fede per gli uomini. E così è stato anche per quel tempo e per quel lembo di terra che ha visto all’opera un uomo di fede, il Beato Bartolo Longo. Egli fu strumento della Provvidenza per la difesa e la testimonianza della fede cristiana e per la esaltazione di Maria Santissima in un periodo doloroso di scetticismo e di anticlericalismo.

Nato il 10 febbraio 1841 a Latiano (provincia di Brindisi), Bartolo era stato educato nella fede cattolica. Ma negli anni degli studi in giurisprudenza a Napoli si era fatto traviare dal forte clima anticlericale e positivista dell’epoca, che era particolarmente diffuso in ambito universitario. Tra i prodotti di questo clima c’era un famoso saggio del filosofo francese Ernest Renan che negava la divinità di Gesù e ogni suo miracolo. Anche Bartolo lesse quell’opera, che contribuì ad allontanarlo dalla fede. Per circa cinque anni si fece coinvolgere in pratiche e incontri legati allo spiritismo e a un certo punto, per un anno e mezzo, fu addirittura “sacerdote” satanista.

Caduto in quell’abisso di peccato, interiormente devastato, Bartolo ebbe la forza di confidarsi con un suo devoto compaesano, il professor Vincenzo Pepe, che non solo lo ammonì fraternamente ma lo indirizzò a mettersi sotto la guida spirituale di padre Alberto Maria Radente (1817-1885), un domenicano. E da qui, provvidenzialmente, iniziò la rinascita spirituale di un uomo che è divenuto uno dei più grandi apostoli del Rosario nella storia della Chiesa, autore di libri e pratiche devozionali (dalla Novena alla Supplica alla Madonna di Pompei), fautore della moderna Pompei, sviluppatasi attorno al santuario da lui fondato, con opere sociali a favore di bambini, poveri ed emarginati che testimoniano la forza dirompente di ciò che significa mettersi alla sequela di Gesù e confidare nell’aiuto materno di Maria.

La rinascita e la scoperta della sua vocazione, da cui scaturirono le opere sopra accennate, chiaramente non avvennero dall’oggi al domani. Prima, furono necessari altri fondamentali incontri con anime che lavoravano per il regno di Dio. Grazie alla frequentazione dei circoli di spiritualità animati dalla napoletana santa Caterina Volpicelli (1839-1894), grande propagatrice del culto al Sacro Cuore, Bartolo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco (1836-1924), che dopo aver conosciuto le qualità umane del futuro santo, gli affidò l’amministrazione delle sue proprietà a Valle di Pompei.

E fu in quelle terre, un giorno d’ottobre del 1872, che avvenne la svolta definitiva nella vita di Bartolo. Era da anni che aveva abbandonato il satanismo, ma il suo animo era ancora tormentato dai suoi trascorsi, fino a spingerlo a volte quasi alla disperazione. Quando a un giorno, poco prima che le campane suonassero l’Angelus, quelle tenebre furono squarciate, come racconterà lui stesso: «Una voce amica pareva mi sussurrasse all’orecchio quelle parole che io stesso avevo letto e che di frequente mi ripeteva il santo padre Radente: Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». In quello stesso frangente Bartolo s’impegnò a propagar il Rosario e subito avvertì una grande pace interiore.

Da allora, aveva 31 anni, fu un crescendo di apostolato che ha trasformato, in meglio, il volto di Pompei e ne ha fatto un centro di irradiazione dell’amore di Gesù e Maria. Bartolo iniziò insegnando il catechismo ai contadini, colmandone le gravi lacune religiose. Poi, su invito del vescovo di Nola, diede avvio alla costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, la cui prima pietra fu posta nel 1876, l’8 maggio, che perciò è divenuto giorno di festa solenne. L’edificazione di quello che oggi è il pontificio santuario di Pompei fu possibile grazie a offerte provenienti da ogni parte del mondo. E il restauro di un’immagine della Beata Vergine del Rosario – tramite di miracoli fin dalla prima esposizione al culto pubblico, il 13 febbraio 1876 (vedi la guarigione improvvisa della dodicenne Clorinda Lucarelli) – ha contribuito ad alimentare la devozione.

Questo risveglio di fede, qui solo accennato, si è accompagnato a una grande attenzione al prossimo. Di qui la fondazione nel corso degli anni, dal 1886 in poi, di asili, oratori per il catechismo, case operaie e, ancora, un orfanotrofio femminile, due ospizi, uno per i figli e l’altro per le figlie dei carcerati. Ospizi nati dopo che gli stessi detenuti si erano rivolti al beato perché si prendesse cura della loro prole. Una sfida educativa praticamente impossibile per la scienza positivista dell’epoca, legata alle idee di Lombroso, per cui i figli di criminali avevano il destino segnato. Non così per il cattolicesimo. «Io non li guardo in faccia né sul cranio. Solamente mi accerto se sono reietti e innocenti abbandonati; li stringo al cuore e comincio a educarli», diceva il beato. Che non solo educava quei figli a vivere rettamente, ma anche ad essere strumento di salvezza eterna per i loro genitori.

All’origine di tanta carità c’era la fedeltà a quella promessa fatta a Maria Santissima, che invocava anche con il titolo di Corredentrice. La promessa di diffondere il suo Rosario, «torre di salvezza negli assalti dell’inferno», come recita il testo della famosa Supplica che lo stesso Bartolo Longo compose.

Sinteticamente possiamo dire che la spiritualità di san Bartolo Longo è caratterizzata da un profondo amore per il Rosario, considerato la “torre di salvezza” e strumento di conversione, e da un’instancabile opera di carità e impegno sociale verso i poveri e i bisognosi, specialmente i figli dei carcerati. La sua spiritualità si fonda sulla necessità della santificazione personale e sull’imitazione di Cristo, che si traduce in opere concrete a beneficio del prossimo, e nella fede incrollabile nella Divina Provvidenza.

San Giovanni Paolo II nell’omelia per la beatificazione di San Bartolo Longo (26 ottobre 1980) disse: “per amore di Maria creò istituti di carità, divenne questuante per i figli dei poveri, trasformò Pompei in una vivente cittadella di bontà umana e cristiana; per amore di Maria sopportò in silenzio tribolazioni e calunnie, passando attraverso un lungo Getsemani, sempre fiducioso nella provvidenza, sempre ubbidiente al Papa e alla Chiesa.

Egli, con in mano la corona del rosario, dice anche a noi, cristiani della fine del XX secolo: “Risveglia la tua fiducia nella santissima Vergine del rosario... Devi avere la fede di Giobbe!... Santa Madre adorata, io ripongo in te ogni mia afflizione, ogni speranza, ogni fiducia!” (11 marzo 1905).

 

 

 

 

 

 

 

 

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