Pillole di SpiritualiTà
Per le ferite d’amore non c’è medicina se non da parte di colui che ha causato la ferita. (San Giovanni della Croce)
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“Se così vuole Dio, voglio anch’io”
Di Lucia Viero
Francesco Possenti - che in seguito prenderà il nome di Gabriele dell’Addolorata - nacque ad Assisi il 1° marzo 1838. Il padre, Sante, era un nobile funzionario pontificio: per lavoro era stato spesso costretto a trasferirsi, portando con sé la famiglia, composta dalla moglie e da numerosi figli.
Nel 1841 Sante fu nominato assessore al tribunale di Spoleto (Perugia), dove si spostò con tutta la famiglia. Francesco aveva solo quattro anni, allorché perse la madre, a causa di una malattia. Quando il piccolo Francesco cercava la sua mamma, gli rispondevano, puntando il dito verso il cielo: “Tua mamma è lassù”. Allo stesso modo gli indicavano la Madonna, a lui molto cara e di cui era assai devoto. Francesco crebbe, così, con la certezza della presenza delle due mamme in cielo.
Nella sua cameretta aveva una statua della Madonna Addolorata, con Gesù morto sulle sue ginocchia. Francesco la contemplava spesso, a lungo, commuovendosi per i dolori che aveva dovuto patire la Madonna davanti a Gesù deposto dalla croce: per questo motivo, quando poi, a diciotto anni, diventerà religioso, sceglierà il nome di Gabriele dell’Addolorata.
Studiò nel collegio dei gesuiti: brillante e vivace, otteneva ottimi voti, soprattutto in ambito letterario. Gli piaceva vestire bene, seguire la moda e fare la “bella vita”. Si divertiva con i divertimenti tipici dei suoi coetanei, gli piaceva molto ballare e non era disdegnato dalle ragazze.
Due sono gli episodi significativi per la conversione e la decisione di Francesco di diventare religioso. Il primo fu la morte - oltre che della madre - della sorella maggiore Maria Luisa, avvenuta nel 1855, a cui era legatissimo. Questa morte lo scosse profondamente e lo portò a interrogarsi sulla sua esistenza e a prendere sempre più le distanze dalle cose effimere del mondo.
Il secondo episodio importante avvenne nell’agosto del 1856: a Spoleto si celebrava l’ottava dell’Assunzione. Anche Francesco attendeva trepidante, in mezzo alla folla, il passaggio della statua della Madonna. Quando la statua passò davanti a lui ed egli si trovò “occhi negli occhi” della Vergine, sentì dentro di sé una voce piena d’amore, una voce impossibile da fuggire, la quale lo chiamò per nome e gli disse: “Francesco, cosa fai nel mondo? Non sei fatto per il mondo, segui la vocazione pensata per te”.
Fu questa voce a segnare la svolta definitiva, a far sì che Francesco si decidesse, non senza resistenze da parte del padre, ad entrare - appena diciottenne - nell’istituto dei Passionisti, fondato da San Paolo della Croce, con lo scopo di annunciare Gesù attraverso la vita contemplativa e l’apostolato. Consapevole che questa scelta significava operare un taglio netto con il passato, scelse il nome di “Gabriele dell’Addolorata”.
Scriveva al papà, che era in attesa di un “sano ripensamento” da parte del figlio e del suo ritorno a casa: «O papà mio, credete ad un figlio che vi parla col cuore sulle labbra: non baratterei un quarto d’ora di stare dinanzi alla nostra consolatrice e speranza nostra Maria Santissima, con un anno e quanto tempo volete, tra gli spettacoli e divertimenti del mondo». Il 22 settembre 1857 emise la professione religiosa. La frase che ripeteva più spesso era: «Voglio fare solo la volontà di Dio, non la mia. Possa essere sempre fatta l'adorabile, amabile, più perfetta volontà di Dio».
Nel 1859 venne trasferito con i suoi compagni a Isola del Gran Sasso, per completare gli studi in vista del sacerdozio. La sua salute, però, a causa della costituzione fragile e delle mortificazioni che praticava, peggiorò. A fine 1861 ricevette poi un ulteriore “colpo di grazia” dalla tubercolosi. Gabriele capì che non gli restava molto tempo da vivere, ma diceva: “Se così vuole Dio, voglio anch’io” e pregava la Madonna di “fare presto” a venirlo a prendere.
Morì a soli 24 anni, nel 1862. La sua morte fu ritenuta da tutti la morte di un santo. Viveva con semplicità il quotidiano: le piccole cose di ogni giorno diventavano grandi per lo spirito con cui le compiva. Ripeteva spesso: “Dio non guarda il quanto e il come; la nostra perfezione non consiste nel fare le cose straordinarie, ma nel fare bene le ordinarie”.
Nel 1892, a trent’anni dalla morte di Gabriele, iniziarono a verificarsi dei fatti prodigiosi. Si procedette così alla riesumazione del corpo, alla presenza di migliaia di persone. Per volere della folla, Gabriele resterà in Abruzzo e da allora ebbero inizio prodigi, grazie e miracoli.
Venne dichiarato beato da San Pio X il 31 maggio 1908 e fu canonizzato da Benedetto XV il 13 maggio 1920. Nel 1926 fu indicato compatrono della gioventù cattolica italiana.
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