Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)
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di Stefano Battezzati
La superbia è l’eccessiva stima di sé che porta al disprezzo verso gli altri ed a negare la propria dipendenza da Dio.
Si contrappone all’umiltà, la virtù cristiana che consiste nel riconoscimento della propria limitatezza e miseria di fronte a Dio.
Con la superbia offendiamo Dio. Lui, amandoci, ci ha riempito di tantissime qualità, qualità che ci servono per progredire nella conoscenza e nello sviluppo dell’uomo in senso lato: ma noi, invece di essere riconoscenti per questi doni, ci comportiamo esattamente all’opposto, cioè Lo mettiamo da parte, Lo accantoniamo, facciamo a meno di Lui, compiacendoci solo di noi stessi!
“Ogni dono perfetto viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi” (Gc 1, 17),
E Pontico conferma proprio questo:
La superbia è una pustola dell’anima piena di siero: se è maturata, scoppia, e manda una gran puzza. Il rumore del tuono preannunzia lo splendore della folgore, e la presenza della vanagloria annunzia la superbia. L’anima del superbo sale sino a una grande altezza, e di là piomba nell’abisso. E’ malato di superbia chi si separa da Dio, attribuendo alle proprie forze le opere rette che compie. Come uno che sale su di una ragnatela, se mette il piede in fallo, viene scagliato a terra, così cade colui che confida nella propria forza. L’ abbondanza di frutto piega i rami dell’albero, e l’abbondanza di virtù umilia il pensiero umano. Il frutto imputridito è inutile per
l’agricoltore, e la virtù del superbo non è accetta a Dio. Un palo sostiene il ramo ricco di frutti, e il timore di Dio l’anima virtuosa. Come il peso del frutto spezza il ramo, così la superbia abbatte l’anima virtuosa. L’anima del superbo è abbandonata da Dio e diventa oggetto di allegria per i demoni.
La superbia scagliò giù dal cielo l’arcangelo, e lo fece cadere sulla terra, come una folgore. Ma l’umiltà solleva l’uomo sino al cielo, e lo predispone a danzare con gli angeli.
E’ cosa grande l’uomo che cerca aiuto da Dio: quando è stato abbandonato, ha conosciuto la debolezza della natura. Non possiedi nulla, che tu non abbia ricevuto da Dio; perché dunque la tua mente si offusca in ciò che è di un altro, come se fosse tuo? Perché ti fai bello della grazia di Dio, come di un tuo possesso? Riconosci il donatore, e non esaltarti oltre; sei creatura di Dio, non rifiutare il Creatore; hai ricevuto aiuto da Dio, non rinnegare il benefattore. Sei salito fino alla cittadinanza nei cieli, ma è lui che ti ha guidato; hai compiuto opere virtuose, ma in realtà è lui che le ha suscitate. Riconosci colui che ti ha innalzato, per rimanere saldo in questa altezza. Il monaco superbo è un albero senza radice, e non resiste all’impeto del vento. La preghiera dell’umile piega Dio alla sua richiesta, ma la supplica del superbo lo irrita. Coronamento dell’edificio è l’umiltà e custodisce al sicuro chi vi entra. Quando sarai salito fino all’apice delle virtù, allora avrai bisogno di molta sicurezza. Colui che cade dal basso si rialza subito, ma chi cade dall’alto, rischia la morte. La pietra preziosa risplende in un cerchio d’oro, e l’umiltà dell’uomo è abbellita da molte virtù
La superbia è un peccato che ci riguarda un po’ tutti. Facciamo, infatti, molta fatica ad ammettere i nostri
sbagli; siamo pronti a sottolineare i difetti degli altri piuttosto che cercare di migliorare i nostri (la pagliuzza negli occhi del fratello e la trave nel nostro …); siamo pronti a perdonarci quando sbagliamo (“che stupido che sono stato!”), ma non facciamo altrettanto con gli errori degli altri…
Il superbo non pensa ad altro che a far bella figura, a comparire, ad emergere, ad essere sempre al centro dell’attenzione, ammirato e lodato; pretende di dar consigli a tutti, senza accettarne da nessuno, vuole avere sempre ragione, e così via.
Il superbo è spesso ipocrita, presuntuoso, vanaglorioso
(vedi IV capitolo – 8).
E la superbia si guarisce con l’umiltà. Siccome la superbia porta l’uomo a fare a meno di Dio, facendogli commettere l’errore più grande della sua esistenza, ecco che le Sacre Scritture, a cominciare da Gesù stesso, insegnano incessantemente l’umiltà.
La prova di questo insegnamento ci viene data proprio dalla storia (che è la pazienza dell’attesa): siccome le opere
delle persone veramente umili sono generate, di fatto, da Dio e non dagli uomini, ecco che il loro insegnamento, il loro
esempio è stato, è, e sarà sempre attuale (vedi ciò che dice Gamaliele negli Atti degli Apostoli: At 5, 33-42).
E si può iniziare da Gesù stesso: (Mt 11,29) “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre;”, da Sua Madre, per proseguire con tutti i Santi, come San Francesco d’Assisi, san Carlo Borromeo, Madre Teresa di Calcutta, e così via.
E mostrarsi umili, può accadere che la gente ci scambi per dei deboli, e ne approfitti per calpestarci, anche con prepotenza. Ma col passare del tempo, tutti si accorgeranno che quel comportamento non era certo dettato da debolezza ma da una grande forza morale e spirituale.
E’ certo che occorre difendere la nostra dignità di essere umani, avere fermezza nei principi nei quali crediamo e, quindi, rifiutare compromessi che ne snaturano il loro valore (cosa che oramai è, invece, divenuta abituale…).
Dobbiamo avere anche una corretta stima di noi, consapevolezza delle nostre qualità, partendo dal presupposto che far fruttificare i doni che Dio ci ha donato è nostro preciso dovere, come ricorda la parabola dei talenti. Dobbiamo anche, al contrario, evitare una “falsa umiltà” che, di fatto, è sempre una forma di superbia.
Parliamo, per esempio, dell’avversione ai complimenti, agli apprezzamenti, che dobbiamo non cercarli, ma accettarli come una sorta di beneplacito che Dio ci fa attraverso le persone che ci stanno lodando, come conferma di aver compiuto, grazie ai doni che Dio ci ha donato, la Sua volontà.
Siamo superbi anche quando, come il fratello del figliol prodigo, evitiamo il peccato per sentirci perfetti, a posto con noi stessi, sentirci al di sopra dei peccatori, per indossare la maschera che ci fa apparire migliori.
Dobbiamo, invece, in questa falsa umiltà, avere l’umiltà di capire che a farci migliori non sono le nostre forze ma la misericordia di Dio, perché tutto il bene viene sempre da Dio:
“Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 5).
ESPIAZIONE
Per espiare il peccato della superbia credo proprio che Gesù abbia sopportato l’umiliazione ed il tormento del “patibulum”, ovvero del caricarsi della croce per portarla sul Calvario.
Gesù venne caricato della trave orizzontale della croce (quella verticale veniva già fissata nel luogo della crocifissione). Questa trave, detta, appunto, “patibulum”, venne posta sulle spalle di Gesù e legata ai due polsi, ma non in posizione orizzontale, bensì obliqua. Gesù ed i due altri condannati con Lui, vennero poi legati insieme con una corda attorno alla caviglia per la salita al Golgota.
Prima di descrivere l’abbinamento del “patibulum” occorre analizzare cosa ci dice la Sacra Sindone sulle sofferenze patite.
Sacra Sindone:
L’accurato esame dell’immagine della Sindone induce gli studiosi a ritenere che le lesioni presenti nelle regioni soprascapolare destra e scapolare sinistra siano state provocate dal patibulum. Le escoriazioni lasciate da questo legno hanno varia grandezza; talune fanno intravedere i colpi della flagellazione meno chiaramente di altre, perché più larghe e sfumate. Ciò sta a indicare che sulle spalle, dopo la flagellazione, pesava un corpo ruvido che ha aggravato le ferite preesistenti e ne ha provocate altre.
L’Uomo della Sindone procedeva a fatica, poiché era stato già sottoposto alla flagellazione. L’estrema debolezza e forse anche il dimenarsi dei compagni lo facevano cadere, provocando l’urto violento delle ginocchia sul lastricato della via. E’ evidente la ferita al ginocchio sinistro. Frammenti di materiale terroso misti a residui brunicci, come di sangue, si trovano sulla punta del naso, che appare escoriato, sul ginocchio sinistro, che appare notevolmente ferito, e sul calcagno, anch’esso insanguinato.
Le sofferenze patite. Sappiamo che Gesù camminò a piedi scalzi su un fondo irregolare, cosparso di ciottoli, per circa 600 metri. Sappiamo che il “patibulum” gli sfregava contro una scapola ed una spalla, già cosparse delle ferite della
flagellazione. Sappiamo che Gesù, che procedeva barcollando (perché spossato, legato alla caviglia, col peso sulle spalle) cadde più volte e durante queste cadute la trave gli scorticò parte del dorso.
Dal libro di preghiere di S. Bernardo Abate di Chiaravalle (fondatore dell’ordine dei Cistercensi che custodiscono, nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme in Roma, le reliquie della Crocifissione) si legge che il Santo domandò, nell’orazione a Gesù, quale fosse stato il maggior dolore sofferto nel corpo durante la Sua Passione. Gli fu risposto: ”Io ebbi una piaga sulla spalla profonda tre dita e tre ossa scoperte per portare la Croce, questa piaga mi ha dato maggior pena e dolore di tutte le altre, e dagli uomini non è conosciuta, ma tu rivelala ai fedeli cristiani e sappi che qualunque grazia mi chiederanno in virtù di questa piaga, verrà loro concessa.” Gesù qui parla di pena e di dolore: quest’ultimo, causato dalle strutture nervose sensitive e dalla paralisi del diaframma dovuta alla lesione del nervo frenico di destra; la pena, invece, conseguente alla difficoltà di parola per la paralisi della parte destra del diaframma che lo privò, appunto, della sua potente voce.
Innanzitutto, il portare la croce, cioè lo strumento col quale verrà ucciso, penso sia il massimo dell’umiliazione, allo stesso modo dello scavarsi la fossa. Quindi Gesù, che aveva la sera prima lavato i piedi agli apostoli facendosi il più piccolo, il più umile di tutti (per indicare chi debba essere “il più grande”), passa dalla massima umiliazione attiva, voluta, alla massima umiliazione passiva, subita. Abbiamo visto che il superbo è una persona che vuole emergere, comparire, farsi notare: ecco che quella trave della croce legata sulle spalle diventa un fardello che impedisce a Gesù di alzare la testa, di innalzarsi.
Non solo: la trave sulle spalle tarpa le ali, sì quelle ali che vuol mettere il superbo per volare più in alto di tutti!
Lo stesso fardello sulle spalle che impedisce al superbo anche di camminare diritto, cioè di essere lineare, coerente: la superbia, infatti, lo fa continuamente sbandare, contraddire, lo fa diventare incoerente, proprio perché egli pretende di essere e di insegnare cose e comportamenti che non sono insiti nella sua vera essenza.
Ed alla fine il superbo crolla, non ce la fa più: ma la gente lo vuole vedere crollare fino in fondo. Ecco che, quindi, fanno portare il fardello a qualcun altro (il cireneo), proprio per far sì che arrivi fino al massimo dell’umiliazione.
Perciò quando commettiamo con consapevolezza questo peccato, sappiamo che causiamo a Gesù un pezzo dell’enorme sofferenza sopra descritta.
Sappiamo anche che, se chiediamo con vero pentimento perdono a Gesù attraverso il sacramento della riconciliazione, Lui ci perdonerà perché ha espiato questo nostro peccato attraverso questa enorme sofferenza, causata dal fardello della croce, proprio oggi, nella Santa Messa celebrata nella parrocchia alla quale apparteniamo.
Sappiamo anche che, se ci comportiamo con vera umiltà, alleviamo a Gesù questa pena.
E sarà ben lieto di effonderci la Sua Divina Misericordia!
Il Beato Alberto Marvelli
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