Pillole di SpiritualiTà
Cerchiamo di compiere il nostro dovere così come si presenta; questo è il segreto della vera fede e della pace. (B. John Henry Newman)
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I parte
Tratto dal sito “Opus Dei”
L'umiltà è una caratteristica fondamentale, alla base dell'autentica vita cristiana, perchè è "dimora della carità". Pubblichiamo un testo spirituale su questa splendida virtù.
Nessuno mai ha visto Dio, afferma la Sacra Scrittura. Fino a quando viviamo sulla terra, non abbiamo una conoscenza diretta dell’essenza divina; tra Dio e l’uomo c’è una distanza infinita, e soltanto Lui, adeguandosi alla condizione dell’essere umano, ha potuto colmarla attraverso la sua rivelazione. Dio si è manifestato agli uomini nella creazione, nella storia di Israele, nelle parole che pronuncia attraverso i profeti e, infine, nel proprio Figlio, che è la rivelazione ultima, completa e definitiva; la manifestazione stessa di Dio: Chi ha visto me ha visto il Padre.
Un Dio che si fa uomo! C’è di che rimanere sorpresi. Un Dio che, in Cristo, vede e si fa vedere, sente e si fa sentire, tocca e si fa toccare; che si abbassa alla condizione umana e si serve dei sensi per farci capire la chiamata all’intimità del suo amore, alla santità. Lo stupore di fronte all’Incarnazione del Verbo spinge a contemplare con venerazione le azioni, i gesti e le parole di Gesù. Quando lo si fa, si scopre che nella vita di Cristo, tutto, dalla nascita fino alla morte in Croce, è impregnato di umiltà, perché pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce. L’umiltà, dimora della carità.
Il messaggio di amore di Dio ci è giunto attraverso l’abbassamento del Figlio. L’umiltà è una nota distintiva basilare, uno dei fondamenti della vita cristiana autentica, perché è la dimora della carità. Sant’Agostino afferma: “Se mi chiedete che cosa vi è di più essenziale nella religione e nella disciplina di Gesù Cristo, vi risponderò: La prima cosa è l’umiltà, la seconda, l’umiltà, e la terza, l’umiltà”. Nell’umiltà del Verbo incarnato, oltre a manifestarsi la profondità dell’amore di Dio per noi, ci viene fatto conoscere il cammino regale che conduce alla pienezza di questo amore.
La vita cristiana consiste nell’identificazione con Cristo: soltanto nella misura in cui ci uniamo a Lui, siamo introdotti nella comunione con il Dio vivente, sorgente di ogni carità, e ci rendiamo capaci di amare le altre persone con il suo stesso amore. Essere umile come lo è stato Cristo significa servire tutti, far morire l’uomo vecchio e le tendenze che il peccato originale ha guastato nella nostra natura. Il cristiano capisce che le umiliazioni, sopportate per amore, sono gustose e dolci, sono una benedizione di Dio. Chi le riceve così, si apre a tutta la ricchezza della vita soprannaturale e può esclamare con S. Paolo: Ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui.
Le cause dell’inquietudine
In contrasto con la profonda gioia interiore che proviene dall’umiltà, la superbia non produce altro che inquietudine e insoddisfazione. La superbia tende a orientare le cose verso il proprio io e ad analizzare gli eventi da una prospettiva esclusivamente soggettiva: se una cosa piace o no, se porta un vantaggio o richiede sforzo…; e non considera invece se si tratta di qualcosa di buono in se stesso o per gli altri. Questo egocentrismo porta a considerare che gli altri debbano agire e pensare secondo le nostre categorie, e a pretendere, più o meno esplicitamente, che si comportino secondo i nostri gusti. Così si spiega che un uomo superbo sia soggetto a frequenti arrabbiature quando pensa di non essere stato tenuto sufficientemente in conto, o che si rattristi, se si accorge dei propri errori o delle migliori qualità degli altri.
Quando una persona si lascia trasportare dalla superbia, pur cercando la propria soddisfazione prova sempre una sorta di inquietudine. Che cosa le manca per essere felice? Nulla, perché ha tutto; tutto, perché ha perso di vista la cosa fondamentale, la possibilità di darsi agli altri. Il suo comportamento ha forgiato un modo di essere che le rende difficile trovare la vera felicità. Lo sottolineava s. Josemaría Escrivá: Se qualche volta vi sentite a disagio, e vi rendete conto che l’anima si riempie di inquietudine, vuol dire che pensate solo a voi stessi (….). Se tu, figlio mio, ti centri su te stesso, non solo imbocchi una brutta strada, ma inoltre perderai la felicità cristiana in questa vita.
La superbia è sempre un’eco della prima ribellione con la quale l’uomo cercò di sostituirsi a Dio, e la cui conseguenza fu la perdita dell’amicizia con il Creatore e dell’armonia con se stesso. L’individuo orgoglioso ha una tale fiducia nelle sue potenzialità, da dimenticare la sua natura bisognosa di redenzione. Perciò, non soltanto la malattia fisica, ma anche l’inevitabile constatazione dei limiti, dei difetti e delle miserie, lo sconcerta e può perfino portarlo alla disperazione. Vive talmente attaccato ai propri gusti e opinioni, da non riuscire a valutare positivamente una visione diversa dalla sua. Non riesce a risolvere i propri conflitti interiori ed è soggetto a ripetuti contrasti con gli altri. La difficoltà a sottomettersi ad altre volontà lo porta a non accettare neppure il volere di Dio. Si convincerà facilmente che Dio non gli può chiedere ciò egli non desidera e può succedere che perfino la coscienza di essere una creatura che dipende da Dio, diventi per lui un motivo di risentimento.
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